A un certo punto nella storia delle culture millenarie dell’umanità i criteri culturali, interfacciandosi con la storia naturale dei luoghi, designano una sorta di «re degli animali» nel contesto variegato dei propri bestiari simbolici. Tali rappresentazioni conferiscono a quel particolare animale una sorta di titolo di superiorità su tutti gli altri. È accaduto al leone, alla tigre, all’elefante, all’aquila e anche all’orso al quale diverse popolazioni europee, nell’antichità, ne attribuirono il titolo di re della fauna selvatica in particolari contesti geografici.

L’ORSO BRUNO (Ursus arctos arctos Linneo, 1758), grande plantigrado che ha il proprio habitat nel territorio tra Europa, Asia e nord ovest americano presenta, sugli Appennini, una piccola popolazione di una sottospecie interessante e dimensionalmente ridottissima: l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus Altobello, 1921). Si tratta di poco più di una cinquantina di individui, distribuiti in una zona montana dell’Appennino centrale, tra Abruzzo, cuore dell’attuale areale del grande mammifero, e regioni limitrofe.

DAVVERO POCHI, ANCHE RISPETTO ai congeneri che vivono nel mondo. Sono ad esempio stimati in circa 150 mila gli individui di Ursus arctos arctos in Europa di cui il nostro orso bruno marsicano è sottospecie, così come in Nord America sono oltre 60 mila gli individui del famoso grizzly o orso grigio (Ursus arctos horribilis Ord, 1815), altra sottospecie, ma stavolta numerosa, dell’orso bruno; mentre sono più di mezzo milione gli individui della specie americana di orso nero (Ursus americanus Pallas, 1780), con numerose sottospecie distribuite tra nord del Canada e nord del Messico, conosciuti anche come baribal, il più numeroso tra le specie di orso al mondo.

LA SITUAZIONE DELL’ORSO MARSICANO mi riporta al pensiero di Henry D. Thoreau, ecologista ante litteram dalla cui esperienza diretta nella natura nord-americana trasse riflessioni raccolte in diari e saggi. In un diario Thoreau annotò, nel marzo 1842, alcune idee e relativi significati simbolici circa il suolo che stava calpestando: «Quando cammino nei campi di Concord e rifletto sul destino di questa prospera deriva della stirpe anglosassone a volte dimentico che quella che adesso è Concord un tempo era Musketaquid, la terra è disseminata di resti d’una stirpe del tutto scomparsa, come se fosse stata calpestata su quella stessa terra. Trovo utile ricordare l’eternità che mi precede quanto quella che mi seguirà. Dovunque vada, ripercorro le tracce degli indiani. Raccolgo da terra un dardo che hanno lasciato cadere ai miei piedi ogni volta che pianto il mio granturco nello stesso solco che così a lungo fornì loro un raccolto, non faccio che cancellare parte del loro ricordo».

ECCO CHE THOREAU RIFLETTE sul terribile genocidio che ai suoi tempi era ancora in corso: quello delle popolazioni dei nativi americani, da poco vinte nell’est ma ancora resistenti nei territori dell’ovest al tempo del filosofo transcendentalista. Quella stessa erba sulla quale Thoreau camminava era stata da poco calpestata da chi lo aveva, a pieno titolo, preceduto ed era ancora calpestata da chi aveva diritto a vivere su quel territorio. Saranno gli stessi trascendentalisti a ricordare l’importanza delle popolazioni indigene, per esempio nel loro rapporto diretto con la Natura che era parte integrante del pantheon dei nativi, luogo di incontro tra divino e umano e sinonimo dello stesso creatore.

IL PARAGONE PARE UN PO’ AZZARDATO, ma in tempi di crescente consapevolezza sui temi ecologici non possiamo evitare di considerare gli altri esseri viventi come garanzia di equilibrio per tutti. Se anche gli orsi e, quindi, se anche la natura e i suoi rappresentanti fanno parte della nostra civiltà multietnica, multiculturale e multispecifica, non possiamo continuare ad assistere, inermi, al fatto che la popolazione di orso bruno marsicano viene inesorabilmente erosa, fino all’estinzione.

È UNA STRAGE SILENTE PER BRACCONAGGIO e mortalità accidentale di origine antropica come è accaduto lo scorso ottobre quando un giovane maschio è stato investito sulla A-25 Roma-Pescara. E già vi erano stati orsi vittime di altri incidenti sulla A-24, la Roma-L’Aquila-Teramo. È paradossale che il gestore di «Autostrada dei Parchi» non corra ai ripari, lo ricordano le associazioni Salviamo l’Orso e la Stazione Ornitologica Abruzzese che in un punto di facile attraversamento autostradale da parte di animali selvatici, hanno attaccato paletti con un recinto elettrificato, col risultato di creare uno sbarramento in grado di evitare investimenti.

TUTTAVIA, IL VERO PROGETTO DI MESSA in sicurezza di A-24 e A-25 stenta ad essere attuato e gli orsi continuano a morire. Anche la Società Italiana di Storia per la Fauna (nelle cui file vi è una parte importante del mondo accademico) in un documento inviato al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e al ministro della Transizione Ecologica, rappresenta la necessità di prendere seri provvedimenti tra cui quello di creare una banca genetica per questa sottospecie valutata in pericolo critico dalla Iucn (International Union for the Conservation of Nature): «È il 21esimo esemplare che perde la vita su questa arteria dal 2013, anno in cui la nostra Società ha lanciato un appello per la realizzazione di una banca genetica dell’orso bruno marsicano – afferma Corradino Guacci, presidente della Sisf – un’iniziativa in perfetta aderenza al principio di precauzione, di cui all’art.191 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il cui scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente attraverso l’adozione di azioni preventive volte a contenere il rischio. Ed è proprio questa la funzione che si vuole attribuire alla banca genetica: un’assicurazione sul futuro della popolazione appenninica. Investire poche migliaia di euro in uno strumento che in tutto il mondo viene utilizzato per sostenere specie animali in difficoltà. L’orso bruno marsicano è il mammifero europeo a maggior rischio d’estinzione. È ora di cambiare approccio, prima che sia troppo tardi».