L’Armenia, il piccolo paese del Caucaso ex-sovietico, è ormai nel caos. Da una settimana l’opposizione guidata dall’ex avvocato attivista dei diritti civili Nicol Pashinyan, assedia il parlamento chiedendo le dimissioni del premier Serge Sargsyan.

Sargsyan è accusato non solo di aver gestito negli ultimi dieci anni il paese attraverso clientele e corruzione, ma anche di aver fatto approvare pochi giorni fa una controversa riforma costituzionale con cui ha potuto confermarsi al potere in qualità di primo ministro (con poteri rafforzati) dopo essere stato presidente per due mandati.

Anche ieri si sono svolte manifestazioni di decine di migliaia di persone nella capitale Yerevan e in altre città del paese. Durante gli incidenti con la polizia sono stati arrestati, secondo quanto riporta l’agenzia Interfax, 100 persone, a cui si devono aggiungere le oltre 200 dei giorni scorsi, già in carcere. I leader del movimento continuano a parlare di «rivoluzione di velluto non-violenta», ma al di là della mancanza di trasparenza che attanaglia il paese, si agitano corpose questioni geopolitiche.

Serge Sargsyan e il suo Partito Repubblicano non hanno mai nascosto la loro pragmatica vicinanza al Cremlino. Tre anni fa l’Armenia ha aderito all’Unione Euroasiatica – una sorta di zona di libero scambio promossa dalla Russia – a cui aderiscono anche il Kazakistan, la Bielorussia, il Kirghizistan, rigettando al contempo le profferte di associazione che erano venute dall’Unione Europea.

Una mossa che ha rianimato in qualche misura l’asfittico interscambio economico del paese, cresciuto negli ultimi due anni del 10% anche se il Pil pro capite annuo resta inchiodato ai 3.500 dollari.

Il premier, il 16 aprile scorso, dopo aver varato la riforma costituzionale, ha concesso una lunga intervista al giornale moscovita Izvestia. «Le relazioni alleate russo-armeno a base di amicizia e fratellanza hanno superato la prova del tempo. Siamo stati insieme per un secolo e la nostra maggioranza parlamentare continuerà a sviluppare in modo coerente e responsabile le relazioni con la Russia», ha sostento Sargsyan.

Il primo ministro, concedendo qualcosa agli umori dell’opposizione, ha però sostenuto anche che «la Russia dovrebbe fare ogni sforzo per rientrare nel Consiglio d’Europa». Il presidente russo Vladimir Putin, da parte, sua ha trovato tempo per complimentarsi per telefono con Sargsyan dopo la sua elezione.

Di tutt’altro orientamento il leader dell’opposizione Nicol Pashinyan, che ancora nel 2016 ha chiesto il ritiro del paese dall’Unione Euroasiatica e un rapido riallineamento con l’Occidente. Secondo Pashinyan, dietro l’accordo di unione economica sottoscritto nel 2015 si nasconderebbe in realtà una vera e proprio tutela politica e militare russa nei confronti dell’Armenia.

Una situazione di debolezza in parte riconosciuta dallo stesso partito di governo. «Senza i 360 milioni di dollari di gas che la Russia ci concede annualmente, il nostro piccolo paese sprofonderebbe», ha dichiarato il deputato del Partito repubblicano Artash Gegamyan.

A Mosca del resto si simpatizza con il governo in carica ma senza scomporsi. È ancora troppo fresca la lezione dell’Ucraina quando nel 2014, scommettendo tutto su Yanukovich, la Russia si trovò senza più riferenti e nuovi potenziali alleati.