Da ieri a Pechino sono in corso dei colloqui tra un rappresentante delle opposizioni siriane e il governo cinese. La visita di Khaled Khoja (Syrian National Coalition) segue di alcuni giorni quella di un esponente del governo di Damasco.

Apparentemente questo ciclo di incontri della dirigenza cinese conferma la strategia classica di Pechino: la Cina si pone come mediatore, sottolineando la necessità di non interferire negli affari interni di altri paesi e la volontà di capire il modo migliore per assicurare che i propri interessi siano mantenuti.

La Cina si presenta come mediatrice nell’attuale crisi siriana, in attesa della riapertura dei negoziati tra governo e opposizioni prevista per il 25 gennaio a Ginevra. Una crisi percorsa per altro dall’eco della nuova tensione tra Arabia Saudita e Iran e nella quale Pechino è conscia che guerre e bombardamenti non consentono quella stabilità in grado di assicurare la tessitura della propria tela di interessi.

Questo tipo di approccio è da considerarsi un classico nella diplomazia cinese: anche ai tempi della crisi libica a Pechino fu un via vai di rappresentati, ora del governo gheddafiano, ora delle opposizioni. In realtà però, dietro questo canovaccio diplomatico che dura dai tempi di Deng e che ha trovato la sua massima realizzazione nel grigiore «scientifico» di Hu Jintao, la Cina sembra preparare nuove strade alla propria posizione internazionale. Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare e segretario del Partito comunista, infatti, pare decisamente intenzionato a ritagliare alla Cina un ruolo da protagonista sulla scena internazionale, come fosse da considerarsi terminata quella fase durante la quale la Cina si è sempre «nascosta» durante le grandi crisi mondiali.

Il primo ottobre del 2014, esattamente dopo due anni dal suo insediamento, il presidente ha dato alle stampe un testo intitolato Governance of China, nel quale ha evidenziato le caratteristiche salienti della propria leadership, concentrandosi in particolare sulla ridefinizione del «sogno cinese» (zhonguo meng) e sul concetto di sistema di «global governance» (quanqiu zhili tizhi), che costituisce ad oggi la novità più rilevante della presidenza da parte di Xi Jinping in tema di politica estera.

Per comprendere questo scarto è necessario ricordare alcuni aspetti della leadership di Xi Jinping. Il «principino» ha scelto di imporsi all’interno del partito sgomberando il campo da equivoci: addio alla gestione collegiale degli affari interni, intanto. Xi Jinping ha concentrato via via su di sé tutto il potere. Ha affidato a un funzionario senza figli, Wang Qishan, un team di feroci inquisitori cui ha dato lo scettro della campagna anti corruzione.

Il team ad hoc ha messo in carcere o fatto decadere migliaia di funzionari. Una campagna sanguinosa, senza respiro. Sono andati a prendere ex generali in ospedale, dove le vittime erano ricoverate per cancro, hanno fatto fuori funzionari di ogni rango, fino ad arrivare a Zhou Yongkang, l’ex alleato di Bo Xilai e custode di un potere immenso: quello della sicurezza pubblica e della gestione del business del petrolio. Xi Jinping ha cominciato a tessere la sua tela per preparare alla riforma delle aziende di stato, il vero cuore del potere economico e politico cinese.

Xi Jinping si è trovato obbligato a tirare fuori dal cilindro il «sogno cinese», per dare l’idea di una strategia. Per sembrare un leader con le idee chiare, in grado di segnare un passaggio storico del paese a fronte della crisi economica del 2008.

E per fare questo, e molto altro, Xi Jinping ha avuto bisogno di mettere in chiaro i punti fermi, quelli che vanno conservati dal passato e quelli che devono segnare una discontinuità. Tra quest’ultimi c’è sicuramente la politica estera. In Governance of China Xi chiede un ruolo più attivo all’Onu e specifica che per la Cina è terminato il tempo di stare in disparte. La «nuova relazione tra grandi potenze» è la guida di Pechino e per questo ogni crisi internazionale dovrà vedere la Cina nelle posizioni più importanti.

Ecco allora che l’incontro con le opposizioni siriane potrebbe essere qualcosa di più di un gesto «consueto» da parte di Pechino. Potrebbe essere l’inizio di quella «governance globale» cui la Cina aspira. Con i modelli occidentali in crisi di rappresentanza politica ed economica, con l’Europa spaccata e gli Usa che si preparano ad una campagna elettorale, per la Cina il momento potrebbe essere ideale.

È propizio attraversare la grande acqua.