Resilienza in generale significa capacità di adattamento a un cambiamento. In ambiti specifici assume sfumature diverse: in quello scientifico è la capacità di un sistema di reagire a una deformazione, a un danno o all’usura; in quello psicologico-sociale è la capacità di far fronte a un evento traumatico. Il senso con cui viene utilizzato dalla cooperativa Terra di resilienza è quello di concepire come un vantaggio quello che invece può essere percepito come uno svantaggio. Vale a dire che vivere e lavorare in un piccolo paese dell’Appennino non è una condanna all’isolamento e alla marginalità ma un’opportunità per allargare gli orizzonti, liberare le idee e costruire alternative.

Terra di resilienza è giuridicamente una cooperativa sociale con sede a Morigerati, in provincia di Salerno, ma strutturalmente, idealmente ed emotivamente molto altro. Per far capire ancora di più il senso di questa sfida che viene lanciata dal quel Cilento rurale spesso dimenticato, Antonio Pellegrino, presidente e fondatore della cooperativa assieme ad altre quattro persone, usa un’altra parola, rubata all’antropologo calabrese Vito Teti: «restanza», ovvero restare per fare. Ma cosa e come?

TERRA DI RESILIENZA È UNA FUCINA di attività e di progetti che hanno alla base la volontà di riscoprire il senso dei luoghi e delle tradizioni, ma senza idealizzare o musealizzare il passato, bensì recuperarlo nella sua funzione culturale e sociale dandogli parole nuove.
Per fare questo Antonio e i suoi soci Dario, Claudio e Marianna, sono partiti da cio’ che vi era di più semplice e vicino: il grano. Il valorizzare un prodotto locale nella sua identità e storia è diventato un manifesto politico che contrasta gli inganni e le omologazioni che la società moderna soffre a partire dal cibo. Pensiamo ai grani antichi di cui da qualche anno si fa un gran parlare e che hanno fatto il loro ingresso sul mercato con il loro carico di bufale e contraddizioni. A Terra di resilienza preferiscono chiamarli «grani del futuro», per mettere in chiaro che il loro è un investimento sulla logica alimentare e non sul marketing. Sul mercato spesso vengono spacciati come grani antichi semi ottenuti da incroci realizzati in anni recenti. I grani da valorizzare e diffondere non sono necessariamente quelli rimasti uguali nei secoli, anche perché i semi nonostante mantengano un loro corredo genetico, ogni volta che vengono seminati cambiano. Ma sono quelli che conservano la loro peculiarità e qualità, come le due varietà autoctone iussulidda e rucculidda, due grani teneri che venivano coltivati in tutto il Cilento fino agli anni ‘70 ed erano destinati alla scomparsa. Queste due varietà sono state recuperate e assieme a tante altre alimentano la biblioteca del grano: un piccolo campo diviso in particelle, una per varietà, il cui incremento avviene per iniziativa: ci sono semi dal Nord Europa fino all’Africa, spesso ottenuti con il metodo dello scambio. Se si adattano, rimangono e vengono distribuiti, con la modalità del Monte Frumentario. Anche qui si va a riscoprire un Mezzogiorno dal passato fatto di pratiche comunitarie e solidali.

I MONTI FRUMENTARI ERANO DEGLI ENTI MUTUALISTICI retti da confraternite che prestavano i semi ai contadini poveri; al prestito veniva applicato un piccolo interesse, sempre in semi, con cui si faceva la carità; un sistema che garantiva la semina e determinava anche una sorta di miglioramento genetico, perché i semi venivano distribuiti in zone sempre diverse. Esistevano dal XV secolo, arrivarono ad essere più di 1200 e vennero soppressi dai piemontesi. Un passato, quello del Mezzogiorno, i cui tratti valorosi di solidarietà e autorganizzazione sono stati dimenticati e il cui recupero non è solo un omaggio ma l’opportunità di pensare e costruire un modello economico alternativo che permetta di superare difficoltà come la limitata dimensione dei fondi difficile reperibilità delle terre: condizioni peculiari come quelle dell’Appennino meridionale hanno bisogno di queste forme dal basso, autonome, mutualistiche, non solo dal punto di vista valoriale ma anche pratico. Fiducia e prossimità sono due componenti fondamentali: noi siamo« compari», cioè la nostra relazione non è solo economica ma personale. E in più lo facciamo in questo luogo: noi non andiamo a spedire i nostri semi o farine chissà dove, perché non ha senso.

SE IL MONTE FRUMENTARIO È UN PRATICA ANTICA, è invece recente l’appuntamento con il Palio del Grano, un’altra delle attività con cui l’ideale di prossimità, relazione, identità portate avanti dalla cooperativa trovano la loro piena realizzazione. L’iniziativa è partita da Antonio, alla costante ricerca di una fuga dall’omologazione, e dalla pro-loco di Caselle in Pittari, sede del mulino a pietra. Obiettivo, recuperare la tradizione della mietitura a mano del grano. Prendendo a modello il palio toscano, dividono il paese in otto rioni, a ogni rione gemellano un altro paese del Cilento e partono con una gara di mietitura, che subito, dice Antonio, si è rivelato essere qualcosa di potente. Un’occasione dove «abbiamo capito che in maniera semplice ed istintiva si recuperava l’orgoglio delle proprie tradizioni contadine e il senso di appartenenza a una comunità e alla terra». Inaugurato nel 2010, il suo successo è andato aumentando, ma non si è mai trasformato in una sagra. Dimostrando il potenziale di costruzione di valore che hanno le vere iniziative popolari, è rimasto una festa ma anche un laboratorio sociale con la quale educare e sensibilizzare anche le nuove generazioni. Nel 2012 si è fatto Campi di grano: per la preparazione della festa sono arrivati ragazzi da tutta Italia e dall’estero, trascorrendo insieme giornate di lavoro e di confronto sulle sfide che ci pone il presente.

ANCHE RIMANENDO A UN LIVELLO LOCALE, per ottenere un risultato c’è bisogno di tanto tempo, quando si è circondati da un sistema culturalmente ed economicamente massificato, da una società sempre più individualizzata e impoverita dei valori collettivi. Ma creare e sostenere realtà diverse è possibile. Non cambierà il mondo, ma per il momento almeno una parte.