Dopo Spagna e Italia, anche in Cile l’Enel ha deciso di smettere di bruciare carbone. La mobilitazione dei comitati locali e la pressione e l’azionariato critico dell’associazione Re:Common hanno convinto la compagnia energetica italiana a rivedere i suoi piani, anticipando i tempi, fin troppo lunghi, previsti per il phase out del più inquinante dei combustibili fossili nel Paese sudamericano.

Il consiglio di amministrazione di Enel Generación Chile lo scorso 27 maggio ha infatti annunciato che richiederà formalmente al segretario esecutivo della Commissione Nazionale per l’Energia (CNE) del Paese sudamericano di autorizzare il ritiro definitivo, la disconnessione e la cessazione dell’attività di Bocamina I (128 MW) entro il 31 dicembre 2020 e di Bocamina II (350 MW) entro il 31 maggio 2022.

Bocamina I è particolarmente obsoleta e inquinante, dal momento che risale addirittura al 1970, mentre la seconda unità è entrata in funzione nel 2012. Enel ha giustificato la sua sorprendente scelta ammettendo che la centrale a carbone è fonte di perdite economiche e che è molto più sensato investire nelle rinnovabili anche in Cile, così da accelerare il processo di decarbonizzazione e rispettare gli impegni presi nella lotta ai cambiamenti climatici.

Di fatto la principale utility energetica italiana ha rivisto profondamente la sua linea di condotta in Cile, che differiva molto rispetto a quanto stabilito per Spagna e Italia, dove il blocco al carbone è fissato rispettivamente per il 2021 e il 2025. In Cile, per Bocamina II, si parlava addirittura del 2040. Un “doppio standard” ritenuto inaccettabile dalla società civile di Coronel e del resto del Paese e anche da Re:Common, che in occasione dell’ultima assemblea degli azionisti dell’Enel, tenutasi a porte chiuse lo scorso 14 maggio, aveva lo stesso lanciato un forte grido di allarme per la disparità di trattamento in atto.

Le centrali hanno avuto un impatto su una grossa fetta della popolazione di Coronel, a partire dai pescatori e dalle raccoglitrici di molluschi e alghe, che nel 2013 occuparono per la prima volta Bocamina I e II. A questa protesta sono seguiti degli accordi di compensazione, scaduti nel 2019 e rinnovati a inizio anno. Ma le conseguenze sulla salute delle persone, a partire da quella dei bambini che frequentano la scuola sita a pochi metri dall’impianto, hanno continuato a essere molto rilevanti e per questa ragione oggetto di una forte mobilitazione locale e internazionale.

«Speriamo che l’Enel possa ricollocare i dipendenti delle centrali nella sua filiera e restituisca alla città di Coronel la possibilità di tornare a respirare con le adeguate bonifiche», ha dichiarato Filippo Taglieri di Re:Common. «Il cammino è ancora lungo, anche se apprezziamo il fatto che, dopo inquietanti passaggi a vuoto come la transizione al gas in Italia, l’Enel stia riprendendo la retta via della sostenibilità ambientale», ha concluso Taglieri.
In Italia, infatti, i piani della società prevederebbero un passaggio al gas di quattro dei cinque impianti in fase di dismissione (Civitavecchia, Brindisi, La Spezia e Fusina). Si tratta di ben 3 mila megawatt di nuova potenza da installare entro il 2025, in barba all’impegno del gruppo Enel di non investire più un euro in nuova generazione elettrica da fonti che esacerbano la crisi climatica.

Per essere veramente “green”, l’azienda dovrebbe chiudere per sempre gli impianti – così si cambierà solo la destinazione d’uso, di fatto non smantellandoli – e procedere appena possibile con un serio e integrato piano di bonifiche dei territori pesantemente inquinati a causa delle centrali a carbone. La messa a regime di nuovi impianti al gas mitigherebbe ben poco la perdita di posti di lavoro.