Il progresso tecnologico renderà superflua molta manodopera industriale e non solo, ma ripensare l’economia significa anche immaginare quanta e quale occupazione potrà generarsi nei settori in cui l’urgenza di sostenibilità porterà invece una domanda di forza lavoro.

Non a caso una delle proposte di IFOAM AgriBioMediterraneo è proprio quella adottare come criterio per l’accesso ai sussidi della PAC non più la superficie coltivata ma – accanto ad altre valutazioni sulle scelte produttive – il rapporto addetti/ettaro.

La mole di lavoro per proteggere i territori fragili, per rendere vivibili le aree interne, per realizzare e moltiplicare filiere corte e diffuse che abbiano nelle aree rurali la prima lavorazione e la trasformazione si traduce in creazione di posti di lavoro. Parimenti tutta la filiera delle produzioni animali necessita di radicali interventi volti a rendere prioritario il benessere animale e la sostenibilità complessiva degli allevamenti.

Allevamenti più vivibili ed estensivi offrono, anche, nuovi posti di lavoro. Occorre, dunque, spostare dalle città alle campagne – produttrici di materie prime, ma anche di prodotti trasformati e finiti, energia, ambiente, salute – la progettualità e l’attenzione per l’occupazione.

La progressiva urbanizzazione ha privato la nostra società delle sapienze proprie delle società rurali in materia di produzione, trasformazione e consumo di cibo: competenze importanti già di per sé, ma anche perché investono la relazione con i cicli della natura, l’importanza dell’acqua, l’utilizzo giudizioso delle risorse.

Dalla prima infanzia alle scuole superiori, dunque, l’educazione eco-alimentare deve entrare nei curricula scolastici, per ri-costruire la sensibilità e il sapere necessari affinché le persone si considerino parte di un ecosistema, con il quale interagiscono grazie soprattutto al cibo.

Serve dar vita a programmi che abbiano il cibo al centro di una visione complessa dell’intero pianeta e dell’intera popolazione dei viventi (anche quelli futuri, e non solo gli umani). Parimenti, in tutti gli indirizzi universitari deve essere introdotto un esame su questi argomenti, come oggi succede per discipline trasversali (l’inglese, l’informatica…).

Una transizione ecologica è possibile solo se le società saranno in grado di comprendere le criticità in atto. L’erosione di competenze, sensibilità e capacità collegate all’ambiente e al cibo hanno reso le società contemporanee molto vulnerabili.

Oggi le occasioni di formazione sono affidate a situazioni episodiche (convegni, presentazioni di libri, attività di intrattenimento) che non raggiungono platee ampie né fanno sistema.

Occorre incentivare la formazione investendo direttamente in attività organizzate e realizzate dalle istituzioni pubbliche (le ASL, gli assessorati all’ambiente, alla salute, all’agricoltura…), dai mezzi di comunicazione e dalle associazioni impegnate a diffondere la cultura del cibo, dell’agricoltura di qualità, dell’ambiente.

Anche gli agricoltori sono figli della società e della cultura contemporanea e quindi anche a loro occorre rivolgersi con offerte formative in almeno tre ambiti:

  1. l’ecologia e le relazioni sistemiche;
  2. le tecnologie e le innovazioni a disposizione della produzione agricola sostenibile;
  3. le possibilità, le condizioni e le procedure per accedere ai finanziamenti pubblici.