Nel profondo sud della Baviera, al confine con l’Austria, c’è il paese che Hitler aveva eletto a dimora estiva: Berchtesgaden. Questa piccola località turistica sorge in mezzo alle montagne Watzmann, che prendono il loro nome da un antico re leggendario, talmente crudele che il popolo con l’aiuto degli dei lo aveva lapidato insieme a tutti i suoi familiari, trasformandoli nel complesso montuoso che avvolge il paese.

Un paradiso terrestre naturale in cui «esistono due mondi paralleli: quello del paese e quello del Cafè Waldluft», dice Matthias Koßmehl, autore di un documentario – Cafè Waldluft appunto, passato in concorso al Trento Film Festival – che racconta come questo ristorante e albergo turistico si sia trasformato in un alloggio per richiedenti asilo.
L’anziana padrona del Cafè, chiamata da tutti Mama Flora, ha iniziato ad accogliere i profughi nel 2012 – «molto prima della recente ondata di arrivi», ricorda lei – suscitando nel paese un profondo shock. Proprio quello di cui andava in cerca il regista: «Mi interessava osservare la reazione di queste piccole società molto chiuse nel momento in cui quello che succede nel mondo non è più solo in televisione ma arriva fino alla loro porta».

Fin dal suo primo lavoro, il cortometraggio del 2012 Welcome to Bavaria, Koßmehl si è occupato di migranti e confini. E quando il governo tedesco ha fatto richiesta agli albergatori di mettere a disposizione i loro hotel per i richiedenti asilo, ha iniziato a visitare le strutture che avevano accettato in cerca di un’ambientazione per il suo primo lungometraggio. «Quando mi sono imbattuto nel Cafè Waldluft – dice – ho capito che era il posto giusto».                                    

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All’inizio delle riprese, nella primavera del 2014, il piccolo Cafè a gestione familiare aveva ormai smesso del tutto di alloggiare turisti, dedicandosi esclusivamente ai migranti. Giovani della Siria, l’Afghanistan, la Sierra Leone – dove all’epoca infuriava l’ebola – vivono e lavorano tutti al Cafè Waldluft in attesa di ottenere un passaporto. E anche quando i documenti gli vengono finalmente consegnati decidono spesso di restare con Mama Flora tra le montagne bavaresi.
«Ma non è un film sui richiedenti asilo – spiega Koßmehl – quanto sul concetto di patria, su cosa significhi». Tutti i migranti sono nostalgici, lontani da casa da anni senza sapere quando potranno tornare.

Abdul, fuggito dalle torture del regime di Assad, compone tutti giorni poesie dedicate alla sua patria, che legge al regista aiutandosi con Google Translate. Ma non solo i migranti: «Tutti i protagonisti sono arrivati a Berchtesgaden in cerca di una seconda Heimat», dice il regista, che ha per questo interamente costruito il suo documentario intorno alle storie dei «viaggiatori».

A partire dalla stessa Mama Flora, che ha abbandonato l’Austria cinquant’ anni fa, e passando perfino per le oche grigie di un documentario che lei guarda in tv, la cui migrazione dura per dei mesi. O anche la cuoca del Cafè, che ha lasciato la Germania dell’Est il giorno dopo la caduta del muro «con nient’altro che un minuscolo bagaglio», e ha trovato a Berchtesgaden la propria vera casa. «La gente ci guardava come se gli volessimo portare via qualcosa», osserva ripensando al 1989 in cui migliaia «migranti» dell’Est si riversarono nella Germania dell’abbondanza in cerca di un futuro.

E la stessa diffidenza è palpabile nel mondo che circonda il Cafè, dove difficilmente gli abitanti avevano mai visto in carne e ossa una persona che non fosse bianca. «Ma non volevo varcare le porte del Cafè per raccogliere interviste in paese, tra coloro che non vedono di buon occhio la scelta di Mama Flora», spiega il regista che infatti si concentra solo sul microcosmo che gira intorno all’ex albergo turistico. «È molto più interessante percepire il disagio di alcuni degli anziani avventori del ristorante del Waldluft. Un gruppo di amici si ritrova lì per pranzo una volta alla settimana da oltre 50 anni, e dai loro discorsi si intuisce chiaramente quanto siano prevenuti verso ’gli stranieri’».

Oggi il numero di profughi che si riversano in Baviera passando per il Brennero è aumentato esponenzialmente. « Flora lo aveva previsto – dice Koßmehl – e infatti il governo è in cerca di altri posti come il Waldluft, disposti ad accogliere queste persone»
Nelle speranze del regista, alla luce degli eventi degli ultimi mesi il suo documentario «verrà recepito come un esempio delle possibili soluzioni a questa crisi umanitaria».
A livello politico – continua – se ne parla senza sosta: «Ma alla fine sono le persone più semplici, come Flora, a trovare delle soluzioni molto pragmatiche ed efficienti, da cui trarre ispirazione