Picchiati con tubi di gomma, attaccati alla corrente elettrica, costretti a sedersi su bottiglie, lasciati senza cibo né acqua, a volte fino alla morte. Il Male di cui parla Primo Levi riflettendo su Auschwitz, la segregazione del disumano, oggi si trova a una decina di chilometri da Grozny, nella prigione segreta scoperta da due giornaliste di Novaya Gazeta, lo stesso giornale di Anna Politkowskaja.

Le sue due «allieve» Elena Milashina e Irina Gordienko hanno scoperto un campo di detenzione informale nella cittadina di Argun dove vengono torturati, picchiati, a volte uccisi i cittadini di serie B, quelli che in Cecenia non hanno nessun diritto, neanche alla vita, cioè gli omossessuali, i tossicodipendenti e i «siriani», cioè i salafiti accusati di terrorismo o combattenti dell’Isis di ritorno dal fronte siriano. Non si sa quante persone negli anni sono passate da Argun, forse trenta o addirittura cento per omosessualità. Alcune si sono salvate e sono scappate fuori dalla Russia.

LE DUE REPORTER non sono entrate nel centro di segregazione ma hanno ricostruito attraverso testimoni dove e cosa succede lì dentro. Testimonianze che parlano di almeno tre morti. L’inchiesta, pubblicata dai primi del mese a puntate, sta facendo rumore in tutto il mondo, con associazioni per i diritti umani e delle comunità Lgbt statunitensi e italiane – come l’Arcigay – che in queste ore chiedono, rispettivamente, al presidente Sergio Mattarella e al Segretario di Stato Rex Tillerson che si trovano in visita ufficiale in Russia di far sentire la lro pressione diplomatica su Vladimir Putin perché si apra un’inchiesta sulle responsabilità delle autorità di Grozny nelle sparizioni e vessazioni di gay ceceni.

LA PRIGIONE DI ARGUN, localizzata in una foto aerea pubblicata dal giornale russo, è in un edificio in cemento di Kadyrov street al civico 99b che fino al Duemila ospitava gli uffici militari poi lasciati abbandonati, poco distante dalle caserme della polizia. è lì che le due croniste sono arrivate seguendo i fili della prima ondata di arresti di omosessuali denunciata a fine febbraio da Nicolay Alekseev, leader del sito GayRussia.ru, dopo che l’associazione aveva tentato di organizzare quattro «Pride» in quattro città della Cecenia del Nord. Le autorità di Grozny, denuncia Alekseev, hanno voluto operare una «pulizia preventiva», oltre a vietare i cortei.

UN PATRIARCATO FEROCE vige nella società cecena, tale da prevedere il delitto d’onore quando un familiare viene riconosciuto come portatore di una condotta sessuale non «a norma», in particolare se gay. E infatti quando è iniziata la pubblicazione delle inchieste sulla Abu Ghraib cecena, le reazioni dei politici locali sono state raccapriccianti. «Non si possono detenere e perseguitare persone che semplicemente non esistono nella Repubblica cecena» ha dichiarato il presidente Ramzan Kadyrov.

«Se ci fosse gente simile in Cecenia – ha continuato, riferendosi alle persone omossessuali – le forze dell’ordine non avrebbero bisogno di avere a che fare con loro, perché i loro parenti li manderebbero in un luogo da cui non c’è più ritorno». Non è andato molto per il sottile neanche Kheda Saratova, membro di quello che dovrebbe essere il locale Consiglio per i diritti umani: «Nella nostra società cecena chiunque rispetti le nostre tradizioni e cultura darà la caccia a questo tipo di persone senza bisogno di aiuto da parte delle autorità, e farà di tutto perché questo tipo di persone non esista nella nostra società», ha detto intervistato alla radio. Mentre il presidente del Parlamento Magomed Daudov nelle inchieste giornalistiche si dice che abbia addirittura visitato la prigione segreta di Argun, e addirittura con il ministro dell’Interno Aub Kataev.

I RICATTI DELLA POLIZIA sono elevati a sistema in Cecenia, si apprende dalle testimonianze raccolte dal telefono aperto dalla Rete Lgbt russa dopo la prima ondata di arresti e denunce (kavkaz@lgbtnet.org). I parenti delle persone arrestate perché sospettate di essere gay o lesbiche, se non vogliono «farsi giustizia da sé», devono pagare se non vogliono lo scandalo, devono pagare se vogliono il rilascio del loro congiunto, il quale comunque per essere liberato periodicamente deve denunciare la cerchia dei suoi contatti.

I telefonini delle persone che spariscono nelle celle di Argun vengono lasciati in carica, chi chiama viene a sua volta arrestato come sospetto. È così che è iniziato il primo domino di arresti, il 28 febbraio, con il fermo di un uomo trovato in stato confusionale sotto l’effetto di una droga chimica, il pregabalin. Tramite il suo cellulare dove sono state trovate foto e video omosex. Con lui in caserma c’erano altre 15 persone, tra cui uno stilista e una condutrice tv.