Odessa, la Marsiglia sul mar Nero, fondata da Caterina II nel 1794, è nota più che altro per la famosa scalinata che la scena della carrozzina che rotola nel film La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn ha fatto conoscere in tutto il mondo. Ma la città è una delle capitali della letteratura russa e ha dato i natali nel XX secolo a un gruppo di scrittori, i cosiddetti «odessiti», Valentin Kataev, Il’f e Petrov, Jurij Oleša, Isaak Babel’, autori di storie in cui satira, comicità e avventura si intrecciano e in cui gli avvenimenti sono raccontati con uno sguardo cinico e disincantato, proprio della mentalità odessita. Del popolarissimo romanzo di Il’f e Petrov Le dodici sedie (1927), non si contano le riduzioni cinematografiche in tutto il mondo (Una su 13 nel 1969 con Vittorio Gassman e Sharon Tate, Il mistero delle dodici sedie nel 1970 con la regia di Mel Brooks, La sedia della felicità, appena uscito, con la regia di Carlo Mazzacurati), anche se pochi sanno che gli autori della storia sono due scrittori di Odessa. Uno dei due, Ilja Il’f, faceva parte della folta comunità di origine ebraica, che insieme a quella russa, greca e tartara, per non contare quelle francesi e italiane, popolavano questa cosmopolita città. Un altro famoso scrittore, Isaak Babel’, ha descritto nei suoi Racconti di Odessa, le vicende del quartiere ebraico della città, la «Moldavanka», dove lui stesso era nato, che ruotano intorno a un gruppo di malavitosi e al capobanda Benja Krik, dedito ai traffici del porto.
Odessa non ha mai rinunciato al suo ruolo centrale di capitale letteraria: Josif Brodskij vi capitò nel 1969, al ritorno dall’esilio per recitare in un film la parte di un soldato che difende la città, film che dopo il suo esilio scomparve dalla circolazione, la rivista letteraria Oktjabr vi organizza in luglio un interessante festival letterario, il teatro ospita produzioni internazionali, poeti e prosatori si incontrano nei numerosi circoli letterari.
Anche in questi ultimi mesi, i simboli della tradizione non vengono dimenticati, per cui ogni sera coloro che sono favorevoli al gruppo «Euromajdan» si riuniscono intorno al monumento al «Duca», che poi altri non sarebbe che il duca de Richelieu, mentre gli oppositori filo russi si incontrano al «Campo di Kulikovo» (la piazza dedicata alla famosa battaglia del 1380 in cui i russi sconfissero i mongoli).

 

Pochi giorni fa, ricevendo per mail da un giornale russo pubblicato in Francia su internet (http://www.clcr.fr) un proclama della «Associazione nazionale dell’amicizia russo-polacca» in cui si sosteneva la posizione della Russia per il bene della Polonia e dell’Europa e ci si congratulava con il popolo russo e il presidente Putin per il ritorno della Crimea alla madre patria, alquanto sconcertata dai toni trionfalistici, ho deciso di contattare un amico che vive ad Odessa, Boris Chersonskij, per sapere quale sia la posizione di un intellettuale russo in merito ai recenti avvenimenti ucraini (la situazione, mentre scriviamo e andiamo in stampa, sta ulteriormente deteriorandosi, ndr).

Chersonskij è uno dei più interessanti poeti della scena contemporanea, la sua prima pubblicazione importante, sulla rivista di poesia Arion risale al 2000 (N° 3) e il primo libro al 2006. Da allora, come se improvvisamente qualcosa si fosse sbloccato, le sue pubblicazioni si sono susseguite al ritmo di una o più l’anno, come se le circostanze della vita avessero già concesso al poeta tempo sufficiente per osservare luoghi, cose e persone e adesso lo spingessero a rappresentarle nei suoi versi prima che di loro si sia perso il ricordo. Lo stile è sobrio e laconico, così come il poeta stesso, che si serve con parsimonia di epiteti e metafore per raccontare le sue storie. La sua è una poesia che scivola nella prosa, che sfoglia le pagine di un «archivio di famiglia» o di un «album fotografico», come nel caso dei versi italiani, pubblicati nel 2009 con il titolo Foglio di marmo, per far conoscere al lettore personaggi che il poeta, osservatore attento dei suoi simili, ha incontrato in Russia, in Ucraina, in Israele o in Italia.

Giunto a Roma nel 2008 per un soggiorno di due mesi come borsista della Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund (Jbmff), Boris Chersonskij ha scritto durante la sua permanenza in Italia circa sessanta poesie, una al giorno, in cui racconta la sua percezione di un mondo e soprattutto di una città che, secondo le sue stesse parole, è diventata un’ossessione. Il particolare approccio e la ferrea disciplina che il poeta è riuscito a imporsi (osservare, ricordare e soprattutto scrivere tutti i giorni) si ritrova nel suo ultimo libro dal titolo latino Missa in tempore belli (Messa in tempo di guerra), ora in corso di pubblicazione a Mosca, strutturato esattamente secondo la liturgia della messa.

Critico nei confronti delle ultime azioni russe, Chersonskij si dedica anche con passione al suo blog, che conta circa diecimila lettori. I recenti avvenimenti nell’Ucraina orientale hanno suscitato grandi discussioni e il poeta osserva i fatti e ha accettato di rispondere alla nostre domande, offrendoci così uno sguardo dall’interno, dalla città di Odessa.

Perché la situazione in Ucraina è precipitata?

Forze esterne non possono creare contraddizioni interne in un paese. Possono influenzare quelle che già ci sono, usarle, possono anche manovrare una società divisa al suo interno. Ma un pianista non si presenta sul palcoscenico se non ha lo strumento su cui suonare. Non importa se si tratti di un cattivo strumento, il genio saprà farlo suonare. Ma non si può suonare su quello che non c’è. Lo aveva osservato Machiavelli, quando parlava dello stato del sultano turco e dello stato del re francese. Non è facile sottomettere lo stato del sultano turco ma è facile tenerlo in soggezione: la società è abituata ad essere sottomessa e unita nella sua sottomissione. Lo stato del re francese, lacerato dalle contraddizioni, è facile da sottomettere, si possono trovare collaborazionisti, contraddizioni su cui fare perno. Ma per queste stesse ragioni è impossibile tenere in soggezione questo stato.

Cosa ha provocato lo scoppio della crisi?

In Ucraina abbiamo un’opposizione civile duratura con cosiddette «micro insurrezioni» e «micro guerre». La crisi è stata provocata da un governo molto incapace e goffo, e quel che è più importante, ottuso e convinto di poter fare con la gente qualsiasi cosa. Il problema fondamentale di questo pesantissimo conflitto che è costato la vita a tanti ucraini, è la contraddizione fra governo e popolazione. Non mi riferisco a tutta la popolazione del paese. Il conflitto ha un carattere regionale molto preciso persino ora, nonostante le ondate di scontento siano arrivate anche nelle regioni tradizionalmente filorusse, dove il presidente Janukovic godeva di un sostegno significativo. Il fattore territoriale-culturale-linguistico (e religioso) minaccia realmente l’unità del paese.

Quanto incide la situazione economica?

Come tutto quello che accade in Ucraina, la contrapposizione ha un retroscena economico ma non determina l’essenza del conflitto. Sebbene in Ucraina siano presenti interessi sia russi che europei, che non coincidono, la situazione nel paese è provocata non da manipolazioni esterne bensì da contraddizioni interne di lunga data. Come uomo di cultura russa, devo ammettere con amarezza che la parte russa gioca sporco.

Come si può spiegare oggi la violenza degli scontri?

La cosa più terribile che succede ora da noi è la piega brutale che sta prendendo la situazione. La violenza per strada sta diventando quotidiana, quasi legittima. Entrambe le parti sentono di avere il diritto di colpire e uccidere. Tecnicamente questa possibilità è maggiore in chi ha il potere. I motivi di contrapposizione ideologica e politica aumentano con il peggioramento della situazione e il desiderio di vendetta. Ho detto entrambe le parti, ma in effetti le parti non sono solo due.

Cosa c’entra il fascismo? Perché entrambe le forze in campo definiscono fascisti gli oppositori?

In Ucraina esistono delle organizzazioni di estrema destra relativamente piccole, che sono in lotta fra di loro. Sono formate da gente crudele e molto decisa che nell’atmosfera del conflitto si trova a suo agio. Un ulteriore fattore è quello sportivo-penale. Mi riferisco al fenomeno dei «tituški» (paragonabile agli italiani «ultras»), costituiti da giovani malavitosi per la maggior parte aggressivi e privi di istruzione. Si possono incontrare sia dall’una che dall’altra parte, e entrambe le parti attribuiscono a loro la responsabilità delle violenze.

In realtà, i «tituški» sono uno strumento del potere. E questa è una delle azioni più vergognose dell’attuale amministrazione perché l’uso della forza porta a un inasprimento della situazione.

Stiamo assistendo a una rivoluzione? E di che rivoluzione si tratta?

Quello che sta avvenendo in Ucraina non ha niente a che fare né con la Rivoluzione del 1917 né con quelle di «velluto» dell’Europa orientale dopo la perestrojka di Gorbacev. La rivoluzione di piazza Majdan è una rivoluzione «contro» e non «a favore» e ha portato solo all’allontanamento di Janukovic e del suo entourage. All’infuori di questo non ci sono altri aspetti positivi perché al potere ci sono le stesse persone che c’erano prima. Hanno semplicemente mescolato le carte.

Si può anche aggiungere che questa è una «rivoluzione orientata verso l’Europa», contrapposta all’Unione doganale con la Russia. Sia l’uno che l’altro orientamento contenevano pericoli nascosti e determinati vantaggi. Fra i pericoli dell’orientamento filo europeo, c’era il peggioramento dei rapporti con la Russia. Ma mai avremmo immaginato che la Russia avrebbe annesso la Crimea e che si sarebbe intromessa nell’est del paese (e in prospettiva, nel sud). Né ci saremmo immaginati che le televisioni russe avrebbero così sfacciatamente mentito sugli avvenimenti e che internet sarebbe sprofondata nel baratro della disinformazione.

 

A corollario di queste pessimistiche affermazioni di Boris Chersonskij, possiamo segnalare che il sito russo www.colta.ru, con il sostegno della «Heinrich Böll Stiftung», sta inserendo su internet sotto il titolo Ucraina: la realtà, i materiali girati nell’ambito del progetto «Cinema verité». Anche in futuro, i registi impegnati nel progetto continueranno a documentare la situazione in Ucraina con l’intento di realizzare un film che nessuno sa ancora come andrà a finire.