Duemila chilometri in bicicletta in otto tappe per portare da Milano a Glasgow, alla Cop 26, il messaggio che bisogna abbattere le emissioni di gas serra e che occorre contenere l’innalzamento della temperatura media della Terra entro 1,5°C. Questa l’impresa sostenuta da Omar Di Felice, 40 anni, ex ciclista professionista e ora ultracyclist protagonista di imprese quali l’attraversata dell’Arctic Highway, 1300 chilometri, in Canada, dell’Islanda, dell’Alaska o, come quella del marzo scorso, dell’Himalaya – 1300 km e 34 mila metri di dislivello – con l’arrivo al campo base dell’Everest posto a 5.364 metri di quota, con temperature fino a meno 30°C.

In sella alla sua bicicletta, su cui aveva stipato tutto il necessario grazie al sistema di borse da bikepacking, Di Felice era partito in solitaria da Milano il 23 ottobre per giungere nella città scozzese il 30 ottobre – il giorno precedente l’apertura della Conferenza sul cambiamento climatico Cop 26 – dopo aver attraversato Svizzera, Germania, Lussemburgo, Belgio, Francia e Regno Unito.

Di Felice, duemila km per dar vita al suo progetto Bike to 1.5°C. A che scopo?

Sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dei cambiamenti climatici, visto che come atleta ho un buon numero di persone che mi seguono e con ogni probabilità sono sensibili ai temi della natura, dei viaggi, della bicicletta e dello sport. Volevo veicolare il messaggio che tramite lo sport e la mobilità leggera si possono contrastare i cambiamenti climatici.

Durante il viaggio, seppur virtualmente, ha avuto tanti compagni di viaggio.

Ho avuto il supporto della ong Italian Climate Network , unendo così l’aspetto sportivo alla divulgazione scientifica. La sera, nel luogo di arrivo, realizzavo dirette sui miei canali social con scienziati, esperti del clima, fisici e chimici, tra cui l’astronauta Luca Parmitano, per parlare di ghiacciai, di mobilità leggera, della situazione climatica e di ciò che possiamo fare per mitigare gli effetti del cambiamento.

Ha fatto tappa anche in alcune zone simbolo di difesa e deturpazione dell’ambiente.

Sono stato nel Ticino, in Svizzera, a vedere i ghiacciai. Le montagne avevano un aspetto primaverile più che da inizio inverno. Poi a Friburgo in Germania, che ha svuotato la città dalle auto a favore di chi va a piedi, in bicicletta o utilizza navette elettriche. Sono stato a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, per mostrare che la bicicletta arriva anche nei luoghi del potere. Ho visto anche zone sedi di centrali a carbone, dove percepisci qual è l’impatto dell’uomo sull’atmosfera. Si vedono emissioni che si fondono con il cielo rendendolo di un colore diverso da quello che conosciamo e l’aria è irrespirabile. Infine a Londra, dove si vedono automobilisti che per passare da una parte all’altra della città impiegano il triplo del tempo che servirebbe in bici o a piedi.

Come è stato accolto nei luoghi che ha attraversato? Chi ha incontrato?

Avevo una mappa dove le persone potevano seguirmi in diretta o pedalare con me. Con mia grande sorpresa, molti lo hanno fatto. Per lunghi tratti sono stato in compagnia di altri ciclisti che volevano condividere il mio progetto. In Svizzera ho incontrato un ragazzo che mi ha raccontato che un suo amico alpinista e ciclista sta girando un documentario sul ritiro dei ghiacciai in Ticino per poi, in futuro, mostrarlo alla figlia appena nata perché probabilmente quando lei sarà adulta non ci saranno più.

Il 4 novembre a Glasgow è successo qualcosa di importante. Ce lo racconta?

Nonostante avessi un accredito come observer sono riuscito, non senza difficoltà, afar entrare a Cop 26 anche la mia bicicletta, per dare un segnale forte in un luogo dove si decidono le strategie per combattere i cambiamenti climatici. È un luogo dove la contraddizione si respira. Mentre si parla del cambiamento climatico, fuori ci sono file di automobili ferme con il motore acceso, aspettando che escano i politici.

Stare all’interno delle stanze della Cop 26 che effetto le ha fatto?

Non sono un politico e stare un paio di giorni a nelle stanze dove poi si sarebbero tenuti gli incontri mi è servito per capire le difficoltà in un negoziato. Da fuori pensiamo che basti spingere un pulsante e il mondo cambierà, ma quando sei all’interno capisci la complessità nel mettere d’accordo duecento Paesi, ognuno con le proprie esigenze. Percepisci le esigenze dei Paesi emergenti, dove l’impatto dei cambiamenti climatici è maggiore. Noi tendiamo spesso a banalizzare il ruolo della politica, non capendo che qualunque piccolo passo è come smuovere un elefante.

Ha avuto modo di vedere e dialogare con i giovani che protestavano?

Hanno una sensibilità sul tema molto maggiore di quella che hanno le persone dalla mia età in su. I giovani hanno il desiderio di dare una sterzata a questo mondo cambiando le abitudini malsane che ci hanno portato a questo punto. Li ho visti manifestare con una grande voglia di combattere per queste loro idee. Il cambiamento non può che partire da loro.

Lei ha realizzato molte imprese ciclistiche estreme, come quella che l’ha vista raggiungere in bicicletta il campo base dell’Everest a 5.364 metri di quota. Questa di Glasgow come la giudica?

La difficoltà delle due avventure è analoga, pur essendo diverse nel contenuto. Mentre quella sull’Himalaya è stata fisica e mentale, legata allo sport, quella di Glasgow è stata di farmi portavoce di un messaggio nella maniera corretta, con una grande responsabilità sociale. Per questo ho voluto farmi aiutare da esperti che fossero in grado di guidarmi nella narrazione del mio viaggio. Per certi versi è stato più difficile portare due ruote all’interno della Cop 26 che al campo base dell’Everest, dove mi sono basato sulle mie forze fisiche e mentali. Alle Nazioni Unite ho dovuto fare opera di convincimento e lottare contro difficoltà politiche e culturali.