La Commissione europea ha firmato un accordo con l’azienda farmaceutica francese Valneva per acquistare 27 milioni di dosi di vaccino anti-Covid per il 2022, se il prodotto sarà approvato dall’Agenzia europea del farmaco (Ema). All’Italia dovrebbero toccarne circa 3 milioni, buone per appena 1,5 milioni di vaccinazioni.

L’azienda ha appena reso noti i risultati positivi dell’ultima fase di sperimentazione del vaccino. Secondo un comunicato dell’azienda, il vaccino Valneva si è dimostrato altrettanto efficace di quello AstraZeneca già autorizzato dall’Ema e adottato come termine di paragone. Nello studio clinico, ciascun vaccino è stato somministrato a un gruppo di volontari adulti (in tutto, tremila persone) facendo registrare circa lo stesso numero di infezioni e nessun caso gravi. Il vaccino francese però ha generato un livello di anticorpi più elevato. «Questi risultati confermano i vantaggi spesso associati ai vaccini a virus inattivati» ha commentato l’ad di Valneva Thomas Lingelbach. «Non vediamo l’ora di proporlo come soluzione alternativa per le persone che non si sono ancora vaccinate».

LA PAROLA CHIAVE è «inattivato»: i vaccini di questo tipo espongono l’organismo al patogeno ucciso e reso innocuo, ma ancora integro e dunque riconoscibile dal sistema immunitario.

È la metodologia sfruttata da gran parte dei vaccini tradizionali, insieme a quella basata sulla proteina ricombinante – in cui l’organismo viene esposto solo a una proteina del coronavirus. Il profilo di sicurezza di questi vaccini è noto da anni. Potrebbero dunque aiutare a superare l’esitazione in chi a torto ritiene «sperimentali» quelli attualmente utilizzati nell’Ue contro il Covid.

Sia i vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) che quelli a Dna (gli adenovirali AstraZeneca e Johnson&Johnson) sono vaccini «genetici» fortemente innovativi: invece di esporre l’organismo al virus, trasportano nelle cellule le istruzioni – sotto forma di Dna o Rna – affinché le cellule stesse sintetizzino il componente del virus che il sistema immunitario deve imparare a riconoscere.

È la prima volta nella storia della medicina che questo metodo viene applicato in vaccinazioni di massa e da questa novità derivano molte paure sui potenziali effetti collaterali.

SECONDO I DATI della farmacovigilanza, finora i vaccini genetici si sono rivelati sicuri, dopo circa due miliardi di dosi iniettate nel mondo. Inoltre, l’Rna del coronavirus è assai più pericoloso di quello introdotto nelle cellule con i vaccini. Ma i rari casi di trombosi grave per i vaccini adenovirali e le miocarditi legate ai vaccini a mRna – meno gravi ma più frequenti – hanno spaventato solo in Italia circa 7 milioni di persone che finora hanno rifiutato il vaccino. I timori potrebbero persino moltiplicarsi nei prossimi mesi, quando i vaccini a Rna saranno probabilmente autorizzati anche nei bambini. I primi sondaggi, effettuati dall’Università Cattolica di Roma, suggeriscono che circa una persona su dieci, tra quelle che hanno completato il ciclo vaccinale, non ha intenzione di sottoporsi alla terza dose. «Un’inclinazione omogenea – ha detto a Repubblica l’autrice della ricerca Guendalina Sgraffigna. «Non si riscontrano differenze fra sesso, fasce di età, provenienza geografica e titolo di studio».

Sebbene l’Ue si sia affidata esclusivamente ai vaccini genetici, le alternative ci sono o stanno arrivando. A parte Valneva, all’Ema si valutano in queste settimane i vaccini prodotti dalle aziende SinoVac (a virus inattivato), Sanofi e Novavax (a proteina ricombinante). Hanno già dimostrato la loro efficacia sul campo il vaccino cinese Sinopharm, l’indiano Bharat (virus inattivato) e il cubano Soberana (proteina), anche se con livelli variabili tra il 50% del Sinopharm e il 90% di Novavax e Soberana.

DI QUESTI VACCINI si parla solo oggi perché il loro sviluppo richiede un tempo maggiore. «Una lentezza intrinseca», come ha spiegato alla rivista Nature l’esperto di sviluppo di vaccini Christian Mandl, legata ai molti stadi di produzione da ottimizzare. Ma oltre a una maggiore accettazione da parte della popolazione, i vaccini di questo tipo hanno anche altri vantaggi. Produrli costa generalmente molto poco e richiede tecnologie più accessibili. Inoltre è più facile distribuirli nei paesi poveri. «Questi vaccini non hanno bisogno della catena del freddo, si possono conservare a temperature più elevate», spiega l’infettivologo Stefano Vella, ex-presidente dell’Aifa e oggi docente universitario a Roma e a Stoccolma.

Anche in Italia, dove l’infrastruttura per la refrigerazione non manca, cercare strade alternative ai vaccini genetici non sarebbe una resa disonorevole ai No Vax ma un approccio corretto di sanità pubblica. «Nel progettare una campagna di vaccinazione» prosegue Vella «non si considera solo l’efficacia ma anche la facilità di somministrazione, che dipende dal territorio e dalla popolazione».

Da sempre, è la combinazione dei due fattori a permettere il raggiungimento dell’obiettivo. Negli anni ‘60, ai tempi della lotta alla polio, la facilità di assunzione del vaccino orale sviluppato da Albert Sabin è stata decisiva nelle vaccinazioni di massa nonostante fosse disponibile un’alternativa più sicura, l’intramuscolo messo a punto da Jonas Salk. L’Ue però ha già acquistato un miliardo di dosi di vaccini Pfizer e Moderna per il 2022, con un investimento di circa venti miliardi di euro. Finora questa strategia è stata giustificata dalla ricerca della massima efficacia.

Se però l’Ema autorizzerà vaccini di altra tipologia, faremmo bene a non snobbarli.