Un paio di mesi fa toccò ai thermos. A centinaia furono ritirati dagli scaffali dei negozi di casalinghi in Italia e non solo. Qualcuno però li aveva già portati a casa: costavano poco, avevano anche un grazioso packaging. Ma quei thermos contenevano amianto nei separatori della doppia parete di vetro; erano stati prodotti in Cina e importati in tutta Europa attraverso canali ufficiali. Avevano passato le dogane, quindi. Ed erano stati tracciati con bolle di accompagnamento. Il Rapex, il sistema di allerta per prodotti pericolosi non alimentari tra gli Stati dell’Unione europea, li aveva individuati quando erano già in vendita.

La notizia non ebbe molto spazio sui giornali, anche se fu diffusa all’indomani della sentenza Eternit. E oggi sappiamo che non si è trattato di un caso isolato.

Infatti, nonostante i divieti vigenti per legge dal 1992, nel 2012 l’Italia ha importato amianto dall’India, esattamente 1.040 tonnellate. Siamo stati il maggior importatore per quell’anno. Lo ha raccontato il pm torinese Raffaele Guariniello, che con l’amianto ha un conto sempre aperto, e che proprio su questo commercio alla luce del sole ha iniziato un’indagine. L’aspetto sconvolgente, ci racconta, è proprio questo: che non si tratta di importazioni clandestine. Non è un traffico illecito. «È tutto scritto, nero su bianco, nei documenti ufficiali indiani e ci è stato confermato dalla dogana italiana».

Raffaele Guariniello è il pm che ha portato alla sbarra i magnati dell’Eternit. Come è finita l’abbiamo visto tutti a novembre: Stephan Schmidheiny, il patron della fabbrica killer, è stato assolto per prescrizione dalla Cassazione lasciando l’Italia intera sgomenta. Passato il clamore della cronaca, in procura, fa sapere Guariniello, il ritmo del lavoro non è calato, anzi. È pronto già un filone Eternit bis, dove si indaga per 256 persone morte e tra i capi di accusa c’è l’omicidio volontario che ha tempi di prescrizione ben più lunghi del disastro ambientale.
Ora, con questa nuova scoperta, si apre un ulteriore capitolo. E non solo a Milano perché, come ci racconta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, anche la procura di Milano avrebbe aperto un’inchiesta sul commercio di amianto in Italia, proprio su denuncia dell’associazione.

Secondo la procura torinese, il materiale importato nel biennio 2011-2012 sarebbe finito nei magazzini di una decina di imprese italiane. Sarebbe stato usato per la produzione di pannelli, lastre di fibracemento, componenti meccaniche per veicoli. Sembra – ma su questo l’indagine è ancora aperta – che siano stati anche importati componenti di moto e auto veicoli contenenti amianto. Secondo i documenti in mano a Guariniello sembra che l’importazione sia continuata anche nel 2014.

Leggendo le bolle, si scopre che l’Italia è un ottimo cliente per l’amianto made in India: siamo primi, dopo di noi c’è il Nepal. L’India a sua volta lo importa dalla Russia, dal Kazakhstan, dal Brasile e dal Canada, che solo recentemente ha ridimensionato le sue esportazioni con notevole ritardo rispetto al resto del mondo Occidentale.
Eppure in Italia c’è una legge, la 257 del 1992, che ha vietato «l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione di prodotti di amianto o contenenti amianto».

Com’è possibile che lo compriamo alla luce del sole? «Perché nessuno controlla», ci dice l’avvocato Ezio Bonanni.

L’Osservatorio nazionale amianto un paio di anni fa ottenne il sequestro di una nave della Tirrenia perché era ancora imbottita di amianto. Ma si è sempre pensato a un’eredità degli anni passati scomoda da gestire. Leggere le bolle di accompagnamento dell’importazione di questo materiale, con data 2012, fa impressione.

Secondo la mappatura realizzata dall’Osservatorio in Italia ci sono ancora circa 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto distribuite in tutte le Regioni, nessuna esclusa. Ma ovviamente non tutte le regioni sono altrettanto attive per quanto riguarda l’esatta individuazione. Con contaminazione degli edifici pubblici, tra i quali scuole (circa 2400), ospedali, caserme, che continuano a provocare ogni anno più di 5mila morti, con un trend in aumento almeno fino al 2030. Bonificare ha costi ancora proibitivi e anzi la filiera dello smaltimento è troppo lunga: camion con rifiuti contaminati attraversano l’Italia per arrivare alle discariche del Nord con dispersioni di fibre lungo il tragitto. E i processi continuano: dopo una lunga fase istruttoria e numerose perizie, proprio qualche giorno fa sono stati rinviati a giudizio alcuni dirigenti dell’Enel per le morti per mesotelioma di alcuni operai della centrale geotermica di Larderello, in Toscana. Tutte persone che lavoravano a contatto con l’amianto e non ne erano stati informati. Soprattutto, senza che nessuno imponesse loro di adottare misure precauzionali. Il processo inizierà il 26 marzo.

Quali possono essere le soluzioni? «Bonificare è necessario e indispensabile. Non possiamo pensare – ci dice l’avvocato Bonanni – di affrontare il problema solo con misure giudiziarie e previdenziali, anche perché sono inefficaci in termini di tutela della salute, e per di più tutte dispendiose, e anzi, l’economia in corso determinerà nei prossimi decenni un aumento esponenziale di spesa pubblica per la previdenza e l’assistenza, anche sanitaria. Occorre, dunque, disporre misure di prevenzione primaria, con la bonifica, prevedere una filiera corta per lo smaltimento dei manufatti contenenti amianto, in modo da evitare future esposizioni, e quindi mettere fine alle patologie. E per coloro che sono stati già esposti, stabilire programmi di sorveglianza sanitaria e di adeguata terapia, oltre alle misure previdenziali e assistenziali con il necessario incremento del Fondo Vittime Amianto e con il prepensionamento dei lavoratori malati di patologie asbesto correlate e per quelli che sono stati esposti per più di 10 anni».