«Per la prima volta l’Italia ottiene un risultato a livello europeo che dà l’idea di un primo passo in avanti. Certo non abbiamo ottenuto tutto quello che avremmo voluto, ma abbiamo ottenuto più di quanto si sia mai ottenuto in Europa in materia di immigrati». Angelino Alfano canta vittoria. Il giorno dopo le conclusioni di un consiglio europeo dal quale l’Italia esce con un accordo decisamente al ribasso per quanto riguarda la distribuzione tra i 28 di 40 mila profughi eritrei e siriani (24 mila dall’Italia e 16 mila dalla Grecia), il ministro degli Interni torna ancora una volta a vantare un successo che in realtà è meno scintillante di quanto vorrebbe far credere.
L’accordo raggiunto a Bruxelles è infatti lontano dalle richieste inizialmente avanzate dal governo Renzi e si basa sulla semplice disponibilità da parte degli Stati ad accogliere una cifra minima di quanti fuggono dalla guerra. Disponibilità, sia chiaro, non obbligo come invece avrebbero voluto Renzi e Alfano, ma anche il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker al quale va riconosciuto di essersi speso in prima persona per raggiungere lo scopo.
Non è andata così, ma Alfano canta vittoria. Non è la prima volta. Lo fece anche quando, archiviata Mare nostrum, riuscì a far approvare dall’Europa, ancora allora restìa a intervenire, una striminzita quanto inutile missione Triton. L’entusiasmo durò poco: il tempo di capire che la nuova missione non solo serviva poco a salvare i migranti nel Mediterraneo, ma neanche li fermava come invece avrebbero voluto lo stesso Alfano e Bruxelles, e subito ha ricominciato a lamentarsi.
La stessa cosa è successa con le quote di migranti da distribuire tra i vari Stati. E’ stato il governo Renzi a fare la cifra di 40 mila profughi tra le decine di migliaia sbarcate in Italia e Grecia, e anche questa vota dal Viminale si sono levate grida di vittoria. Peccato che anche stavolta sono durate poco: dopo neanche un mese lo stesso Alfano protestava con Bruxelles dicendo che la cifra stabilita era troppo bassa e serviva alzarla. L’Europa, come si è visto, è andata dritta per la sua strada.
Adesso il ministro torna a cantare vittoria, spacciando per successo quello che tutt’al più è un accordino. «L’accordo Ue ha messo in crisi il regolamento di Dublino», dice. Alfano parla da un video inviato al Festival del Lavoro in corso a Palermo usando parole che non avrebbero stonato domenica scorsa al raduno leghista di Pontida. «Abbiamo vissuto una crisi economica più lunga delle guerre mondiali, e abbiamo un grave problema di disoccupazione soprattutto al Sud e tra i giovani per poter immaginare che un immigrato possa togliere lavoro a un italiano. Questo è davvero inimmaginabile. Faremo tutto ciò che è possibile per impedire che gli italiani non trovino lavoro per colpa di immigrati che non hanno diritto di stare qui», afferma.
Logica conseguenza di un simile discorso è l’unico risultato ottenuto al termine del vertice dei capi di Stato e di governo: un inasprimento dei rimpatri degli immigrati irregolari, in realtà imposto all’Italia dai 28, piuttosto restii a fidarsi di come vanno le cose da noi. Alfano si è subito allineato. «Mentre l’Europa deve accogliere i migranti che scappano da guerre e da persecuzioni, come prevedono le regole di civiltà di questo nostro grande continente – dichiara -, noi dobbiamo rimpatriare chi entra in Italia irregolarmente». Occorre dunque «potenziare il sistema dei rimpatri», perché «è la scelta giusta che può dare conto anche all’opinione pubblica, stanca di vedere sbarchi». Una dichiarazione che fa fare un salto di sorpresa perfino a Matteo Salvini: «Alfano parla come un leghista», dice infatti il leader della Lega. «Fino a 15 giorni fa dire che bisognava espellere gli immigrati era una roba da barbari, mente oggi è il governo a dirlo».