L’Affaire Nkandla o Nkandlagate si avvia verso una sua risoluzione. Politicamente drammatica, tanto per le sorti della presidenza sudafricana che in ogni caso ne uscirà sconfitta quanto per quelle dell’African National Congress (Anc), il partito al governo dalla fine dell’apartheid.

Il Parlamento sudafricano discuterà oggi la mozione di impeachment contro il presidente Jacob Zuma presentata dai due partiti dell’opposizione – l’Economic Freedom Fighters (Eff) e la Democratic Alliance (Da) – all’indomani del verdetto della Corte Costituzionale che il 31 marzo scorso ha condannato Zuma alla restituzione di parte dei 16 milioni di dollari di fondi pubblici utilizzati per la ristrutturazione della sua residenza privata di Nkandla, nel KwaZulu-Natal.

Unanime la sentenza della Corte presieduta dal giudice Mogoeng Mogoeng che accusa Zuma di non «avere sostenuto, difeso e rispettato» la Costituzione. In altre parole, di averla violata ignorando le richieste del Public Protector Thuli Madonsela – l’authority anticorruzione del Paese – di restituzione allo Stato dei fondi pubblici indebitamente spesi a scopi privati.

Il Tesoro ha ora 60 giorni di tempo per determinare l’entità «ragionevole» del rimborso, a decorrere da cui il presidente ha altri 45 giorni per saldare il conto. Ma non più ormai neanche un solo giorno per evitare l’impeachment o meglio, il Removal of President come stabilisce la Costituzione sudafricana.

 

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Thuli Madonsela

 

 

La sentenza suona come una conferma sonora del lavoro svolto dalla Madonsela, nominata Public Protector nel 2009 dallo stesso Zuma, avvocatessa inflessibile e caparbia che il giudice Mogoeng ha definito «l’incarnazione del biblico Davide» in lotta contro il Golia della corruzione dello Stato e che il Time ha incluso tra le persone più influenti dell’anno 2014.
A causa della pubblicazione del suo rapporto Nkandla (450 pagine) nel marzo del 2014 – un’inchiesta che il security cluster, vale a dire i ministri della Difesa, della Sicurezza dello Stato e della Polizia aveva cercato di bloccare in tribunale – non sono state certo poche le vessazioni che Thuli Madonsela ha dovuto subire, come quelle del vice ministro della difesa Kebby Maphatsoe che l’accusò di essere una spia della Cia.

Dopo 18 mesi di indagine, ciò che emergeva nella relazione consegnata ai reporter di mezzo mondo era che Jacob Zuma nell’agosto del 2009, quindi tre mesi dopo essere stato eletto presidente, aveva dato via libera all’uso di fondi statali per lavori di ristrutturazione atti a migliorare il «sistema di sicurezza» della residenza di Nkandla. Tali migliorie comprendevano – come denunciato dalla stampa locale e dal Public Protector – la costruzione di una piscina, di un anfiteatro, di un centro di accoglienza per visitatori.

 

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Jacob Zuma

 

Nonostante si tratti del più grande scandalo che abbia colpito Zuma, è difficile che la mozione di sfiducia oggi passi vista la maggioranza di cui gode Anc in Parlamento (circa il 62%). Eppure vista la natura dell’Affaire e il malcontento creato tra i sudafricani – inclusi i sostenitori più fedeli di Anc – oltreché tra le file dello stesso Anc, è altrettanto plausibile che tale scandalo possa incrinare se non deteriorare i rapporti tra Anc e i suoi partner più stretti quali il South African Communist Party (Sacp) e la federazione del lavoro Cosatu.

Sabato scorso, facendo eco a richieste simili da parte dei partiti di opposizione, a chiedere a Zuma di dimettersi era stato un veterano di Anc e amico fraterno di Nelson Mandela, Ahmed Kathrada. In una lettera aperta rivolta a Zuma, Kathrada scrive che le dimissioni di Zuma darebbero al governo la possibilità di riprendersi da una “crisi di fiducia”. «Di fronte a tale costantemente diffuso criticismo – scrive Kathrada – , condanna e domanda, è chiedere troppo esprimere la speranza che tu sceglierai il modo corretto che sta guadagnando slancio di prendere in considerazione le dimissioni?».