Dal 1993, quando il World Wide Web divenne accessibile a tutti, attraverso il browser Mosaic – il primo visualizzatore universale delle pagine web – siamo ipnotizzati dalla ricchezza dell’immaginario condiviso online.
Il libro di Valentina Tanni Exit Reality (Nero, pp. 211, euro 22) analizza il paesaggio digitale che si affianca a quello naturale e costituisce un nuovo sistema urbanizzato di immagini, suoni, sensazioni e simbolismi dell’interiorità, tentando una mappa estetica, ragionata, anche se inevitabilmente orientata, perché sarebbe impossibile restituire la totalità di un processo tanto dinamico complesso e frastagliato.

LO AVEVA GIÀ FATTO con Memestetica (Nero, pp. 303, euro 18) dove si concentrava sul ruolo dei meme, ricostruendone il collegamento con l’esperienza artistica del postmodernismo. In questo volume, lo sguardo si allarga in un grandangolo che comprende tendenze recenti descritte su base cronologica, restituendo un caleidoscopio plurale che fa convivere Blaise Pascal e Walter Benjamin con gli anonimi commentatori delle bacheche digitali più periferiche.
Spesso immaginiamo la rete come un insieme di meccanismi di appropriazione o espropriazione che le piattaforme esercitano sulla produzione dei contenuti collettivi, attraverso lo sfruttamento degli utenti, oggetto di una mercificazione costante, mentre Exit reality vede l’immaginario cyber come uno strumento dal basso, che attiva tendenze della percezione, del desiderio, e della manifestazione delle soggettività in transito online.

SEBBENE L’ECCESSO di contenuti ostacoli la capacità di interpretare il mondo che ci circonda, possiamo comunque partecipare, illustrando il nostro stato emotivo, o costruendo una mimesis, un progetto indeterminato e disinteressato per condividere percezioni e interiorità. Eppure, resta impossibile sfuggire all’ottica del potenziale di mercato, che fa emergere alcune tendenze, rendendole virali e onnipresenti. Il testo va a caccia, invece, delle tracce che inducono a riconoscere che un altro mondo, fuori dalla dinamica del mercato e della valorizzazione, sia ancora pensabile online, sebbene forse non sembri troppo realizzabile tra le risorse naturali.

ALCUNE CARATTERISTICHE sono trasversali alla mappatura; per esempio, la centralità dell’elemento percettivo come attivatore della memoria, di vibe (vibrazioni) e mood (stati d’animo). Come suggerisce Tanni, non possiamo verificare più i fatti, ma possiamo sentire come la loro rappresentazione ci faccia sentire, e provare a esprimerci, per condividere questi sentimenti. È di questa impalpabile natura che sono fatte molte delle esplorazioni visive e sonore dell’estetica digitale, che attivano aree liminali, perturbanti, vuote e retrò, per entrare in contatto con gli anfratti reconditi della psiche. Riesumare emozioni perdute risulta centrale all’estetica nostalgica della rete. Le backrooms sono una delle cifre di questo percorso. Non si tratta di spazi concreti, ma di dimensioni speculative, forse di un inconscio collettivo, un segnale che dietro i lustrini luccicanti degli inviti all’acquisto e all’autosfruttamento delle terre emerse delle piattaforme si nasconda un aldilà fatto di perdita economica ed emotiva. Fronteggiamo la fine del mondo come lo conosciamo, e l’immaginario anche apocalittico proverebbe a curare e lenire le ferite della mancanza di quegli oggetti che non servono più, nei quali spesso ci identifichiamo anche noi.

NELLE SOGLIE che lasciano altri mondi inagibili, spesso ritorna il passato, ma un passato disabitato, perché nessun altro frequenta i nostri ricordi: piscine, vecchi centri commerciali svuotati, tutto è spesso immerso nell’acqua, come elemento primigenio, ma insieme segnale del riscaldamento globale e dell’innalzamento dei mari. Ogni elemento configura l’ambivalenza incomprensibile e inevitabile del mondo. Le architetture isolate sono personaggi ancorati alla percezione liminale di esperienze singolari o, comunque, impossibili da comunicare se non con gli effetti lasciati sulla psiche.
Si evoca il verso amletico Time is out of joint (il tempo è uscito dai suoi cardini) per descrivere l’esplorazione di wierdcore e traumacore (l’esperienza del trauma o della stranezza nel suo residuo irriducibile). La difficoltà a costituire una psiche adulta soggettivata incarnata si traduce da un lato nella rievocazione di un passato inafferrabile, dall’altro nella fuga della realtà, il tutto attraverso una irrimediabile frammentazione che impedisce la comprensione, ma non i suoi effetti percettivi, emotivi e psichici su soggetti ancora non istituiti, scossi nel flusso incessante di stimoli. Una possibile resistenza estetica si esplica assecondando il divenire.
La fuga dalla realtà non è soltanto vigliaccheria, ma rappresenta il gesto obbligato per non soccombere al diluvio dell’ingovernabile che si presenta senza mediazione e irricevibile per il soggetto, spesso costretto all’isolamento dalle pratiche lavorative e affettive. Attraverso la condivisione percettiva e autopercettiva dolente e divertente insieme, si prova, forse, a ricostruire un collettivo almeno emozionale, dal momento che la disgregazione sociale inibisce il realizzarsi di altre dimensioni del comune. Sentirsi insieme almeno nello stile estetico potrebbe segnalare il bisogno di proteggere la psiche dal gorgo depressivo dell’impotenza a intervenire concretamente sul mondo, della difficoltà di pensare un futuro che ci riguardi pienamente.