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La scrittura oscilla fra lo stile di Paolo Nori e Maurizio Milani (che è di Codogno). La «navigazione» è a vista (con gli occhi dell’indigeno Doc). La mappa riconsegna la periferia del Nord (talmente agricola da cristallizzarsi nel solco del tempo).
Mirko Volpi con Oceano Padano (Laterza, pp 172, euro 13) va letteralmente contromano come vuole il titolo della collana. Se racconta, è il geografo della Lombardia ineffettuale. Quando riflette, si offre come cassa di risonanza della cultura popolare. Ogni volta che ricorda, rispecchia mondi radicati altrove rispetto a qualsiasi post-modernità.

Una matassa che Volpi continua a dipanare nello spazio giornalistico che gli ha riservato Il Foglio. Ma l’originale lavoro narrativo sembra predestinato ad un filò nell’aia, senza mai l’ambizione di tradursi in visione epica né in antologia nostalgica. È la cronaca di spigolature che si condensa nel «Tramandare la cassoeula, resistere al secolo». Si legge volentieri, tuttavia resta confinata oltre le risaie che finiscono a Villanterio e prima di ogni traccia metropolitana.
In sostanza, Volpi cesella un microcosmo: «Socrate a Nosadello. Mio papà, nel pieno della canicola, dice a mia mamma: “Intanto che imparo a morire, portami un ghiacciolo”». È il filo della Bassa che lungo l’intera asta della pianura padana racchiude ancora coltura delle stagioni («Afa, desolazione fredda, gelo, desolazione tiepida»), fatica che imperla la fronte, silenzi rituali e devozione alla terra. Nosadello, il borgo di Pandino in provincia di Cremona, equivale quindi a Heimat e insieme a sestante: Volpi ci è nato e soprattutto confessa «Ovunque vada, io rimango qua. La stasi è vita, spostarsi una sua ipercinetica contraffazione».

Nosadello esaurisce ogni altra storia: «pezzo di terra disteso tra due statali interrotte dalla provinciale, tutto erba e merda». L’esplorazione di un universo microbico, regolato solo dal fluire del tempo, è perfino stupefacente nei sentimenti nebulizzati dalla quotidianità più che prevedibile. Tuttavia la circumnavigazione dell’oceano padano ingabbia tutto e tutti dentro una sorta di autosufficienza che non ammette deroghe, riserve, pentimenti.
È lo stesso nulla di acqua, letame e burro. Identico ma diverso dalle altre frazioni, dai piccoli comuni e dalle singole cascine che da Pavia si estendono fino a Lodi. Il niente paragonato alla vita di città, alla vacanza al mare, al viaggio infinito. Eppure è un mare di rogge che tracima al di là della Padania ideologica di Salvini e ristagna, eterno, nel foraggio o nel concime.

Così ci si lascia irretire dal gorgo della narrazione, perché Volpi interpreta persone e animali, luoghi e nebbie, lavoro e pettegolezzi, cibo e destini come se tutto alla fin fine si potesse davvero ridurre all’infinita pianura. È l’orgogliosa rivincita del ricercatore universitario, erudito di Dante e testi volgari, studioso di linguistica applicata anche alla politica. Con Oceano Padano si rivela filologo di se stesso, ermeneuta dell’arcipelago dei campi e filosofo della metafisica dei costumi d’altri tempi.

Il prototipo umano della Bassa lombarda – che galleggia sulle zolle e sopravvive alle intemperie – incarna l’antidoto dell’operaio novecentesco votato al progresso di asfalto & cemento, ma scaccia preventivamente anche l’incubo dell’incertezza globale, sovrana, devastante del XXI secolo. «Lui ama solo le rogge, i pesci di fosso, le polle d’acqua sorgiva, gli infidi canali ombreggiati dai filari di ontani, le increspature dei fili d’erba delle verdissime distese». Pedala sempre la medesima strada, parla in dialetto, passa al bar e pretende solo che nulla cambi. Proprio come Nosadello, «al riparo da una modernità che non ci può salvare».

Volpi irretisce con la sua spirale dell’immobilismo naturale: «La nostra indipendenza è quella dell’acqua che sgorga da sola dalla terra, sotto una bandiera con letame e burro in campo verde cangiante, e la lingua comune è quella che tace affratellandoci nella contemplazione del piano, nella certezza che qui ci piantumano radici più robuste di quelle dell’olmo. Altro non serve: noi amiamo restare».

Nel mare di mais, dentro le stalle, nelle sagre o in cucina, affiora un’unica certezza che strappa calendari: «Siamo solo immigrati dal passato». Non c’è altro destino di quello diviso in quattro stagioni, scandito dal conseguente lavoro nei campi o dalla stagionatura del formaggio e del salame.

Oceano Padano è il saggio perfetto per chi non si accontenta della sociologia virtuale. Sarebbe perfino ottima letteratura ai margini di classifiche, premi ed editoria «social». Invita soprattutto a verificare di persona la meravigliosa suggestione della Bassa lombarda.

Ma l’erudizione di Volpi, con la sua vena calamitata in un angolo di pianura, approda all’ultima spiaggia del pensiero conservatore: una comunità contadina radicata nell’eterno ritorno del nulla. L’Eden dell’indifferenza naturale che combacia con la sovrana volontà di impotenza.
Un mondo fuori dal mondo, finché Nosadello può rappresentare l’altra faccia dell’Expo di Rho…