Sono i primi giorni di luglio del 1940 quando le autorità di Lestelle-Betharram (nel sud-ovest della Francia, nella regione dei Pirenei atlantici) recuperano un corpo senza vita sulle rive del fiume Gave de Pau. La causa della morte non fu un incidente, ma un atto volontario, un suicidio. Il corpo era quello di Carl Einstein. A Lestelle-Betharram era giunto solo poco tempo prima, alla fine di giugno, dopo aver già tentato di togliersi la vita – senza riuscirvi – presso il Mont de Marsan. Quei convulsi mesi erano l’ultima tappa dell’esistenza terrena di uno dei più poliedrici intellettuali tedeschi.
Rispetto a molti altri critici, si può dire che il nome di Einstein non sia certo tra i più noti al pubblico italiano. A fronte di una situazione per cui in Francia e in Germania l’attenzione verso i suoi scritti e il suo lavoro è ben viva e si può disporre di strumenti che permettono di familiarizzarsi con la sua attività critica – alcune biografie, la raccolta delle opere complete, una notevole messe di articoli e studi –, in Italia si fatica a fare i conti con questa figura. Pochissime le traduzioni – il volumetto Negerplastik (ultima edizione: Abscondita); la raccolta di scritti che riunisce gli interventi sulla rivista di Georges Bataille «Documents» (Mimesis Edizioni) – e per lo più legate ad aspetti circoscritti del pensiero di Einstein; in generale, inoltre, la sua figura fatica a uscire da un ambito specialistico degli studi per cui, di volta in volta, si pone l’accento o sul filosofo, o sullo scrittore, o sul critico d’arte.
Nato nel 1885 a Neuwied, in Renania, dopo il trasferimento della famiglia a Karlsruhe Einstein si trasferì a Berlino nel 1904 per studiare principalmente filosofia e storia dell’arte (e anche storia e filologia classica), ma il mancato possedimento del diploma gli impedì l’ottenimento del dottorato e, di conseguenza, gli fu preclusa la carriera accademica. Precocemente attratto dalle espressioni artistiche che in quegli anni mettevano radicalmente in discussione il ‘canone’ e la ‘tradizione’, a Parigi, nel 1907, aveva avuto modo di entrare in contatto col cubismo di Pablo Picasso Georges Braque e Juan Gris. Come altri intellettuali tedeschi della sua generazione iniziò da subito un’attività di pubblicista, che affiancava quella di scrittore: il suo primo romanzo, Bebuqin, venne pubblicato nel 1912 in «Die Aktion», la rivista di Franz Pfemfert, che aveva iniziato le sue uscite appena l’anno precedente. Politicamente orientato verso la sinistra liberale, il coté che ruotava attorno alla rivista annoverava tra i suoi collaboratori alcuni tra i più importanti artisti, scrittori e intellettuali del momento e divenne in brevissimo tempo una vero e proprio luogo d’incontro per il modernismo europeo. Nel corso degli anni (e degli scritti) di Einstein riaffiorerà spesso l’imprinting teorico-concettuale acquisito nella fucina di quella rivista.
Accanto agli spartachisti

La Prima Guerra Mondiale vide Einstein volontario al fronte: di stanza nel Belgio occupato, lì maturò l’incontro con l’arte africana, innesco delle riflessioni che lo avrebbero portato a pubblicare le sue riflessioni prima in Negerplastik (1915) e poi nel successivo Die Afrikanische Plastik (1920). Un altro mutamento di rotta si ebbe negli anni della Rivoluzione tedesca: in quel frangente il critico militò infatti nel Consiglio rivoluzionario di Bruxelles e, una volta rientrato a Berlino, fiancheggiò i movimenti spartachisti. Furono quelle stesse direttrici di pensiero che lo spinsero, negli anni trenta, ad arruolarsi nella Colonna Durruti, il vasto movimento anarchico formatosi a Barcellona per combattere Francisco Franco. Stabilitosi a Parigi alla fine degli anni venti, una volta iniziato l’incubo nazista Einstein rientrò in patria solo per brevi periodi (e in incognito, date anche le sue origini ebree).
Ad oggi, la fama di Einstein è in larga parte legata a Negerplastik, almeno in Italia il titolo più noto al pubblico non specialista. Vale la pena notare però che, se da un lato esso ha permesso al nome del suo autore di superare i confini nazionali, dall’altro ne ha anche, in parte, appiattito la ricezione. Perché la produzione di Einstein è una vera e propria costellazione, complessa e a tratti impervia, fatta di moti in avanti e ritorni su se stessa.
Gli scritti, tra 1910 e 1940
Una possibile carta geografica per orientarsi e tentare di attraversarla è oggi offerta dal bel volume di Maria Stavrinaki, Contraindre à la liberté Carl Einstein, les avant-gardes, l’histoire (Les presses du réel, Digione, pp. 256, € 24,00). Ripercorrendo la carriera del critico attraverso un’analisi attenta dei suoi scritti scalati tra il 1910 e il 1940, la Stavrinaki ricostruisce i complessi movimenti del pensiero di Einstein e le sue posizioni nei confronti tanto delle avanguardie quanto dell’arte del passato. Come recita il sottotitolo del volume, infatti, il nocciolo della questione sta nel complesso e sfaccettato rapporto che Einstein ha istituito, nelle diverse stagioni della sua produzione, con questi due poli concettuali, attorno ai quali si coagulano le sue riflessioni. Se le avanguardie stanno a incarnare il presente, la tradizione rappresenta il passato. In che modo si incontrano e si scontrano questi due campi di forza? In che modo il ‘presentismo’ del contemporaneo interroga e pungola la storicità nelle sue varie forme? In che rapporto stanno le opere d’arte – e, più in generale, l’Arte – nei confronti del mondo che la circonda?
Uno dei rovelli su cui Einstein pare interrogarsi continuamente – ed è questo un filo che viene seguito e dipanato dalla Stavrinaki – è il ruolo del tempo: egli costruisce un’articolata relazione tra temporalità e opera d’arte. Se, ad esempio, negli anni che precedono la Prima Guerra Einstein insiste sull’‘apocalisse primitiva’ (sulla capacità, cioè, delle sculture africane di attuare un’‘apocalisse sensibile’ per lo spettatore che se le trova di fronte, urtato dai loro contrasti), negli anni venti il suo paradigma interpretativo cambia, puntando egli questa volta il fuoco della sua analisi sul ruolo del presente rispetto alla Storia e sulla complessa relazione che lega questi momenti. Sono proprio gli anni venti a determinare un ripensamento e a segnare una nuova rotta: e non poteva essere altrimenti. Bisognava fare i conti con il profondissimo smottamento politico, sociale, intellettuale che s’era determinato dopo la Prima Guerra. Bisognava cercare degli strumenti teorici nuovi, capaci di interpretare la nuova situazione.
È il momento in cui nascono le sue analisi del cubismo e in cui il suo punto di vista etnografico sia fa via via più materialista, portandolo ad abbandonare lo ‘sguardo estetico’ su quegli artefatti che aveva segnato le sue riflessioni. Sono anche gli anni in cui guarda alla situazione politica e sociale con disincanto. Perché le riflessioni estetiche di Einstein non sono mai disgiunte da un pensiero più strettamente politico sulle cose. Il titolo del volume allude proprio al paradosso secondo cui, proprio nel momento del liberalismo politico più spiccato, sarebbe in realtà necessario ‘arginare’ la libertà creativa, fare i conti con quelle immagini che operano una ‘costrizione’ simbolica. Il rapporto con la tradizione – cioè con la storicità di certe immagini, forme e soggetti – viene ridefinito da Einstein sulla base delle nuove esigenze dell’uomo moderno: bisogna rompere il circolo della Storia e sovvertire la tradizione che incombe reiterando le stesse formule. Riflettere su questi concetti vuol dire anche tentare di capire, e magari smantellare, la maniera in cui le tradizioni sono state costruite.
Nietzsche e Freud
Il composito cantiere di idee e posizioni che ruotano attorno al cubismo diventa allora un luogo per misurare l’evolvere delle idee del critico. Alla base di simili attitudini sta la convinzione che all’origine delle forme artistiche non vi sia l’idea di una perfezione, di un’unità, ma al contrario una mancanza, una perdita. Le categorie messe in campo si nutrono tanto della filosofia di Nietzsche quanto della psicologia di Freud e divengono dei veri e propri dispositivi capaci di agire criticamente nel tessuto del tempo e della Storia. Nel corso degli anni trenta, di fronte all’orrore del nazismo e del fascismo, Einstein s’interroga sul problema della massa e della fabbricazione di miti per quegli orrendi regimi. Quanto riflessioni di questo tipo siano, purtroppo, ancora attuali, credo sia sotto gli occhi di tutti.