Il mese di giugno sarà decisivo per conoscere il futuro dell’Ilva di Taranto. Mercoledì infatti, scadrà il primo mandato del commissario straordinario Enrico Bondi, che per legge può essere rinnovato per altri 24 mesi, sino all’agosto del 2016: la decisione della riconferma però, spetta soltanto al governo. Che attraverso il premier Matteo Renzi, giovedì ha annunciato un imminente cambio di passo nella gestione del siderurgico tarantino. Perché il problema vero, da sempre, è la mancanza di risorse finanziarie per effettuare l’aumento di capitale, previsto dalla legge dello scorso 6 febbraio, oramai non più rinviabile.

L’Ilva infatti, registra una crisi di liquidità oramai irreversibile: tanto da non riuscire più a pagare nemmeno le aziende dell’appalto, che attendono arretrati per oltre quattro mesi. Stessa situazione dicasi per gli stipendi degli oltre 14 mila dipendenti diretti: se il 12 giugno non ci saranno problemi per gli emolumenti di maggio, l’azienda ha già fatto sapere di non essere in grado di garantire quelli di giugno da versare a luglio. Così come mancano le risorse per le minime operazioni di manutenzione sugli impianti (oramai si registra un incidente a settimana), per non parlare degli oltre 4 miliardi di euro necessari per finanziare il piano ambientale e quello industriale redatto dallo stesso Bondi.

Le banche coinvolte dalla gestione commissariale, Unicredit, Intesa San Paolo e Banco Popolare (che già vantano nei confronti dell’Ilva Spa crediti pregressi per oltre 1 miliardo di euro), hanno messo in chiaro che una loro eventuale partecipazione nel finanziamento del piano industriale, potrebbe avvenire soltanto in presenza di certezze sulla futura proprietà. Stessa cosa dicasi per la Cassa Depositi e Prestiti, che tramite il presidente Franco Bassanini, nei giorni scorsi ha dichiarato che l’ente non ha preso in considerazione l’ingresso di Fintecna nel capitale dell’Ilva.

La famiglia Riva, che detiene ancora la maggioranza delle azioni dell’Ilva Spa, ha invece fatto sapere di essere disposta a contribuire all’aumento di capitale soltanto in presenza di altri soci pronti a investire capitali freschi.
Per questo il governo sta lavorando alla costituzione di una cordata che vede come protagonisti i gruppi italiani Marcegaglia e Arvedi, e l’indiana Arcelor Mittal, il primo produttore di acciaio al mondo (cordata che però ha già fallito l’acquisizione dell’Ast di Terni). Giovedì c’è stata la prima riunione al Mise in tal senso. Ma nessuno si è voluto sbilanciare, chiarendo che prima di ogni cosa andranno lette tutte le carte sull’attuale situazione finanziaria dell’Ilva.

Al di là delle buone intenzioni, il rischio che l’azienda fallisca non è assolutamente da escludere. L’accelerata del governo nasce dal timore che il commissario Bondi, a cui giovedì il sottosegretario Graziano Delrio ha chiesto di restare come «traghettatore», si veda costretto a portare i libri contabili in tribunale.