C’è una nuova puntata giudiziaria nell’infinita vicenda dell’Ilva di Taranto. Questa volta a fare ricorso alla magistratura, è stata la struttura commissariale che guida l’amministrazione straordinaria dell’azienda, che ha chiesto ben 2 miliardi di risarcimento danni alla famiglia Riva e a due società riconducibili ad essa: la Riva Fire e la Riva Forni Elettrici. L’istanza, secondo alcune fonti citate ieri anche da agenzie di stampa, sarebbe stata depositata nei giorni scorsi al Tribunale Civile di Milano dai tre commissari del gruppo siderurgico, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi.

Nel ricorso si parla esplicitamente di «abusi di direzione e coordinamento» perpetrate dai Riva a danno dell’Ilva, dalle cui casse avrebbero sottratto ingenti somme di denaro per trasferirle all’estero. I commissari parlano di «un disegno attuato in più fasi, ideato e articolato con lucida determinazione», che si sarebbe dispiegato nel secondo semestre del 2012 e che avrebbe avuto conseguenze dannose per la società Ilva e delle quali ora si chiede il conto agli eredi del patron Emilio Riva. «Nel corso del 2012 – recita l’istanza – perdurando il mancato adempimento alle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, la società avrebbe dovuto chiudere gli impianti produttivi di Taranto: ma è proprio in questo momento cruciale, la famiglia Riva lasciava ogni residua carica in Ilva, Riva Fire e i suoi esponenti apicali hanno imposto ad Ilva, ancorché bisognosa di risorse finanziarie per dare attuazione agli investimenti ambientali, di rimborsare in via anticipata i propri debiti nei confronti di Sthal (socia di Ilva) per circa un miliardo di euro; inoltre, hanno programmato e attuato una scissione della stessa Riva Fire, segregando la parte ’buona’ del gruppo Riva Fire dalle vicende, sempre più problematiche, afferenti l’Ilva, per trasferirla in un gruppo di nuova costituzione controllato dalla società Riva Forni Elettrici«.

«In altri termini – si legge – nel momento in cui Ilva avrebbe avuto più bisogno di tutte le risorse finanziarie disponibili a livello di gruppo, Riva Fire e gli esponenti della stessa società, invece di destinare ad Ilva tali risorse, decidevano di lasciare quest’ultima in una situazione di crisi. Che ha comportato effetti rovinosi: proprio a causa del mancato adempimento alle prescrizioni dell’Aia, Ilva è stata dapprima (luglio 2012) oggetto di provvedimenti restrittivi da parte dell’Autorità Giudiziaria di Taranto, e poi sottoposta ad una speciale forma di commissariamento; infine, stante l’impossibilità di fare fronte ai propri debiti, fu ammessa alla procedura di Amministrazione Straordinaria».

Per capire quello di cui parlano i commissari, bisogna fare un salto indietro all’autunno 2012. Quando diventò ufficiale la decisione di separare la produzione nei due comparti presidiati dal gruppo: da un lato i laminati piani a freddo e a caldo e dall’altro i prodotti lunghi. Questi ultimi, che prevedevano le partecipazioni di Riva Acciaio, Stahlbeteiligungen Holding, Riva Energia, Muzzana Trasporti e Parsider, passarono alla Riva Forni Elettrici attraverso un’operazione finanziaria di ben 310,6 milioni.

La Stahlbeteiligungen, la storica cassaforte lussemburghese della famiglia Riva, ha avuto come presidente sino al dicembre 2012 proprio Fabio Riva. Da questa holding nel novembre del 2012 nacque un’altra holding controllata, la Siderlux, nella quale si fece confluire il 25% delle azioni di Ilva spa detenute dal gruppo Riva. L’operazione comportò una riduzione di capitale della Stahl da 140 milioni a 59,6 milioni di euro. I restanti 81,3 milioni andarono a costituire il capitale sociale di Siderlux, interamente sottoscritto e controllato dalla Riva FIRE, che però dallo scorso febbraio è in liquidazione.
Un gioco molto complesso ancora oggi poco chiaro a chi governa il mondo Ilva.