Periodicamente si riavvia (anche sulle pagine di questo giornale), il dibattito sulla sinistra in Italia. È inevitabile: da troppo tempo questo pezzo della scacchiera politica è assente, e ciò diventa più evidente in fasi come quella attuale.

Una prospettiva utile potrebbe essere quella di provare in primo luogo a definirla, una sinistra che possa essere forte, utile (alla parte di società a cui si rivolge) ed efficace nell’Italia del XXI secolo. Che caratteristiche dovrebbe avere?

In Italia questo dibattito si è spesso basato su dicotomie nette: la sinistra dovrebbe essere radicata nel sociale o ricercare il consenso elettorale? Dovrebbe essere conflittuale o capace di comunicare? Capace di mobilitare soggetti sociali o di usare i social media? Dovrebbe discutere nelle sezioni o sulle piattaforme digitali? Essere presente sul territorio o in televisione? Puntare sulla partecipazione o sulla leadership? Di solito si prende posizione per una di queste due polarità, contro l’altra.

I casi di sinistre che nel mondo, negli ultimi anni, hanno raggiunto un certo grado di forza, consenso ed efficacia riuscendo a ridare rappresentanza e identità politica a settori non esigui della società, hanno superato queste dicotomie.

Non è in alcun modo necessario che la ricerca del consenso elettorale – costituirsi e agire per acquisire forza anche attraverso il voto – debba andare a discapito della ricerca del radicamento sociale, della presenza nei luoghi e tra i gruppi sociali reali, a contatto diretto con i processi di socializzazione e con i meccanismi con cui si costituiscono le relazioni e le condizioni sociali.

Né la ricerca del consenso è contraddittoria con la capacità di dotarsi di un’identità definita (anzi, questa è necessaria al consenso) e con la volontà di essere coerenti con dei valori. Cercare il voto di larghe fasce della popolazione non significa ‘vendersi’. E sono soprattutto i ceti popolari ad avere bisogno di votare per qualcuno che sia o possa diventare forte, per non rendere il proprio voto una somma di debolezze.

Allo stesso modo, non c’è contraddizione tra azione offline e online, tra territorio e capacità di usare i mezzi di comunicazione contemporanei. Saper usare i social media non significa usarlicome la destra. Apprendere i meccanismi che anche nel digitale creano identificazione e consenso significa senz’altro imparare l’arte della semplicità, che però non implica povertà teorica e di elaborazione, anzi spesso ne è il risultato.

Significa invece cercare di tornare a essere popolari, provando a tradurre valori e programmi nel linguaggio del senso comune e facendo incontrare due elementi (la propria proposta politica e “i sentimenti spontanei delle masse”, come li chiamava Gramsci) da troppo tempo separati. Bisogna sempre ricordare che militanti ed elettori sono due specie politiche diverse: non si può parlare ai secondi come si parla ai primi. Imparare l’arte comunicativa della semplicità e dell’identificazione popolare non significa quindi né ricorrere a toni e argomenti volgari, né sollecitare istinti irrazionali, né evitare di essere presenti nella società e organizzare manifestazioni, iniziative mutualistiche e azioni dirette.

Non è necessario nemmeno scegliere tra partecipazione e leadership. È fondamentale che i militanti possano partecipare pienamente – contando, pesando e decidendo – alla vita interna di una comunità politica. Ma è importante per gli elettori che ci sia una leadership che possa incarnare il messaggio politico di questa comunità. La leadership, poi, può essere di due tipi. C’è quella che annulla l’organizzazione nella figura del capo. E c’è quella democratica, che diventa espressione di una volontà collettiva e di un’organizzazione plurale.

Infine, bisogna “vincere” o “testimoniare e rappresentare”? Anche qui non c’è contraddizione. Sempre di più, oggi, anche per testimoniare e rappresentare bisogna candidarsi a vincere socialmente e politicamente, altrimenti si è quasi ignorati.

Come fanno diverse sinistre in Europa e nel mondo, bisogna superare queste dicotomie sempre più inattuali. E bisogna saper costruire comunità politiche belle da abitare, concentrarsi più sull’esterno (sulla società, sul mondo) che sulla propria vita interna, essere pragmatici e utili ma anche capaci di elaborare simboli e discorsi che suscitino entusiasmo e coinvolgimento, saper difendere ma anche attaccare, e bisogna parlare di economia ma anche della vita nelle sue molteplici manifestazioni, tornando a essere candidati credibili a renderla migliore.