Una luce fucsia avvolge la Sala d’Armi all’Arsenale di Venezia per il debutto al 13° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di ILINX – don’t stop the dance di e con Simona Bertozzi. Torniamo sul Festival soprattutto per lei, ospite anche con la sua compagnia di un estratto dal significativo progetto Prometeo nella sezione spettacoli all’aperto.

«ILINX»don’t stop the dance merita per tante ragioni: il nesso non fumoso, coreograficamente sviluppato tra fonte d’ispirazione e realizzazione; la scrittura e la qualità del movimento; l’attenzione al rapporto dinamico con lo spazio e con il suono – musica e voce. Il pezzo riprende e elabora, su invito della direttrice del Festival, Marie Chouinard, uno studio del 2008, Ilinx, prima azione del progetto Homo Ludens, dedicato da Bertozzi alle quattro categorie del gioco teorizzate dall’antropologo francese Roger Caillois: Ilinx (vertigine), Alea (caso), Agon (competizione), Mimicry (maschera).

Bertozzi, classe 1969, torna al progetto con adamantina precisione, non prevedibile dallo sguardo. Una sfida sulla solitudine del performer che porta il pubblico dentro una pratica lucida e ostinata: un volo tra vertigine e atto performativo, tenace nel lasciarsi travolgere da un movimento che si trasforma istantaneamente in scrittura. Il pezzo inizia con un’esplosione sonora che esce da una grande cassa che nasconde la stessa autrice – musica eseguita dal vivo da Egle Sommacal.

Il movimento parte a terra, con Bertozzi in parrucca grigia che si attorciglia e distende sul pavimento. Una danza che non si ferma, travolta eppure dettagliatissima dentro il precipizio vertiginoso, amplificato sonoramente da un microfono con cui Bertozzi interagisce. La voce sussurra parole che si legano al corpo in atto, la ricerca di una linea, la concentrazione sulla colonna vertebrale, la necessità della resistenza, la questione dell’equilibrio.

Un’attenzione al pensiero fisico che si attua nel linguaggio del corpo e poi nella coreografia che scorre nello spazio e che da lì ci riporta all’uomo e dall’uomo alla natura, complice la citazione finale da Walt Whitman.

TRA GLI ALTRI pezzi visti in Biennale, una nota di particolare interesse al duo Habiter della canadese Katia-Marie Germain, portrait in movimento legato allo still life, e una segnalazione per la ricerca tra oggetti e performance del duo vincitore del Leone d’Argento, Théo Mercier e Steven Michel.