Se ne va un’altra testimone importante dello spettacolo italiano, Ilaria Occhini, morta all’età di 85 anni. Da due anni almeno rifiutava apparizioni e interviste, opponendo un muro impenetrabile con la discrezione e la fermezza di sempre. Da moltissimi anni sposata con Raffaele La Capria (un pezzo di storia della cultura italiana, a partire dal fondamentale Ferito a morte che lo rivelò), veniva anch’essa da famiglia di scrittori: era nipote di Giovanni Papini, con cui si era formata nella infanzia e adolescenza tra Firenze e i colli di Arezzo. Dove tornava spesso,non solo a godersi i suoi vigneti, ma anche per continuare a cercare nuove forme di teatro (si ricorda pochi anni fa una sua bella esperienza in Val di Chiana con il Teatro popolare d’arte di Gianfranco Pedullà, che avrebbe dovuto approdare a un Cechov conformato su di lei).

LA SCELTA di fare l’attrice del resto le ha fatto assumere fin da giovanissima un ruolo che bisogna riconoscerle nello spettacolo italiano. Diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica, debuttò nel cinema giovanissima nella Terza liceo di Luciano Emmer, ma sotto pseudonimo. La sua dolcezza, e la grande fermezza che la rivestiva, la portarono subito a lavorare sulla scena con Gassman (nel Marziano a Roma di Flaiano) e con Visconti (Goldoni, ma anche Arthur Miller). Ma si sentiva già ben figlia di quella generazione di talenti cresciuti nel dopoguerra. Gli spettatori di oggi l’hanno conosciuta come «nonna» simpatica e birichina nelle Mine vaganti di Ozpetek o nelle serie televisive di Provaci ancora prof per i quali è stata ripetutamente premiata. Ma lei era divenuto il volto dell’Italia migliore proprio al volgere del decennio tra i 50 e i 60, quando il televisore entrò in tutte le famiglie italiane grazie alle Olimpiadi romane.

Ilaria Occhini e Nino Manfredi in “I complessi” (1965)

NEGLI SCENEGGIATI mitici di quella Rai, con la regia di Anton Giulio Majano, lei fu il volto più bello e commovente del piccolo schermo, da Jane Eyre a Delitto e castigo, e una davvero indimenticabile Graziella (1961, regia Mario Ferrero, dal romanzo di Lamartine), girata a Procida, che la fece divenire il volto più amato d’Italia. Il personaggio del poeta era interpretato da Corrado Pani, e del cast faceva parte anche Luca Ronconi. Tutti ex compagni d’Accademia, rimasti uniti e decisi a crescere insieme. Fu così che un paio d’anni dopo furono proprio Ilaria Occhini e Corrado Pani, con Carla Gravina e Gian Maria Volonté (gli ultimi tre in quel periodo oscurati dalla Rai per motivi di pubblica moralità, benché privatissimi) a «costringere» Ronconi a passare alla sua prima regia, un Goldoni giocato sull’incrocio tra due testi. Un debutto davvero storico, e un rapporto durato per sempre. Tanto che a metà degli anni 90,il regista divenuto ormai un maestro riconosciuto in tutta Europa, volle di nuovo Occhini e Pani come coppia protagonista di uno dei suoi capolavori, la versione teatrale del Pasticciaccio di Gadda. Una immagine memorabile, quella del volto di lei macchiato dal sangue in quanto vittima del pasticciato delitto, che ha fatto epoca e storia del teatro italiano.

ANCHE se lei nel frattempo aveva fatto, sempre con la sua innata grazia, molte altre cose, da una trilogia pirandelliana con Patroni Griffi ad altre apparizioni cinematografiche. Soprattutto, insieme al marito La Capria che è stato per sempre il suo grande interlocutore, non aveva remora a sostenere battaglie civili, militando a lungo a fianco ai radicali. Una personalità insomma davvero completa, anche se le sue buone maniere di sempre non l’hanno fatta sgomitare mai per apparizioni o ospitate. E una grande attrice, perfino decisiva come si è detto per la scena italiana, e di cui ora si sentirà l’assenza. La camera ardente per Ilaria Occhini è aperta oggi dalle 10 alle 16.30 al Teatro Argentina di Roma. La cerimonia funebre avrà luogo sempre oggi alla Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo.