Ci vorrebbe proprio la salutare, elegante brutalità di Balestrini: a fronte della melassa retorica dai media deversata, in queste settimane, al truogolo di un’umanità rinchiusa nei propri affetti e difetti domestici, nonché nei propri domestici pregiudizi (pronta infatti a rifare la faccia feroce, non appena un minimo quei pregiudizi si provi a turbarli). Ma è invece giusto un anno, 19 maggio 2019, che Nanni non c’è più (e certe volte viene da pensare, come fa Aldo Nove, che meglio sia andata così, per lui).

In questo mese di maggio avrebbero dovuto tenersi (a cura di Sergio Bianchi e Peppe Morra) due manifestazioni in ricordo di quello che è stato, oltre che un grande artista del suo tempo, in tutti i sensi un maestro: del suo, del nostro ma anche, scommettiamo, del tempo a venire. Vuol dire che sarà più avanti, quando ci saranno – speriamo – spazio e tempo per riflessioni più partecipate e articolate. Intanto abbiamo pensato di chiedere un piccolo contributo verbovisivo a un certo numero di suoi amici, complici, discepoli che lo hanno seguito nelle mille avventure della sua «fantastica vita». Così s’intitola una rubrica sulla pagina Facebook di DeriveApprodi, in cui Bianchi (il «Sergio» degli Invisibili) rende postumo pan per focaccia all’amico: trascrivendo i suoi racconti di vita, proprio come lui aveva fatto coi suoi. Diversi altri partecipanti, a loro volta, hanno inteso mutuare lo stile (l’asintattismo da “lassa”) o il modus operandi di Nanni (applicando il cut-up, suo marchio di fabbrica, ai suoi stessi testi).

Come Balestrini, nel Tristanoil presentato a dOCUMENTA (13), mixava immagini e parole del «mondo dentro il capitale», sino a farle esplodere, così i suoi amici hanno pensato di mixare parole e immagini sue, e loro, per provare a scavare vie d’uscita possibili. Vale la pena ricordare che la poesia con cui scelse di esordire, sul «verri» nel 1957, s’intitolava Apologo dell’evaso; mentre uno dei tre fantastici poemetti di Caosmogonia, 2010, ha per titolo Empty Cage. Speriamo di brindare presto alla tua, Nanni: a piede libero.

Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa


Gianfranco Baruchello

È una foto degli anni fine settanta, non ricordo la data esatta. Ma eravamo già molto amici. Ci vedevamo spesso e ci scambiavamo “notizie”: che stai facendo tu, cosa sto facendo io. Erano tempi duri ma bellissimi. Sempre nuove idee e tanti progetti. Le idee sfidavano la politica, ci davano la forza di andare sempre oltre qualche limite imposto dai tempi. Voglio ricordarmi Nanni come in quella foto, come un amico con cui scambiare i pensieri del momento, con cui condividere rabbia e sogni. Così abbiamo fatto fino a pochi giorni prima di quella data di maggio. Telefonava a Carla. Allora? ho tanta voglia di vedervi, quando ci vediamo, è passato troppo tempo. Anche noi vogliamo vederti Nanni, dicevamo. Abbiamo tante cose da raccontarci. A presto Nanni.

Sergio Bianchi

Sulla pagina Facebook di DeriveApprodi abbiamo pubblicato la sbobinatura di alcuni racconti orali di Balestrini, registrati fuori programma dopo la cena di un suo compleanno: un susseguirsi veloce di fotogrammi nitidi su eventi entrati nella storia del nostro paese. Frammenti, poche parole, solo quelle strettamente necessarie, ma straordinariamente limpide. S.B.

[…] Giangiacomo era andato clandestino nell’estate del 69. Lui aveva delle informazioni molto precise che gli arrivavano dal Pci, in specifico da Secchia e dal suo giro. Inoltre aveva subìto delle perquisizioni, dei pedinamenti, era fortemente criminalizzato dai giornali di destra che lo indicavano come finanziatore dei gruppi extraparlamentari in Italia e di quelli terroristi sparsi per il mondo. Era vero che si dava molto da fare, e non solo in Italia. Mi ricordo un natale passato nella sua tenuta in Carinzia, con la neve. Feltrinelli era l’uomo più ricco di Milano. […]

Mi ricordo il funerale di Giangiacomo al cimitero di Milano con una folla enorme circondata da un esercito di polizia. Poi Scalzone si è arrampicato sul un albero e ha fatto un comizio.

Poco dopo dalla Feltrinelli me ne sono andato.

Achille Bonito Oliva

Achille e la tartaruga

Accade talvolta

alcuni parlano della tartaruga

anche se la domanda

certo è sempre possibile

che è possibile immaginare

che si può giudicare

che si sviluppa

come fuggire nella separazione

ogni tartaruga separa

oppone in modo netto

ostinato oltre al suo spazio

o uno spazio fittizio

per eludere l’immagine

per essere immortali

per immaginare il possibile

per prendere le distanze

questa è semplicemente

questa separazione tuttavia

queste immagini della tartaruga

queste rapide osservazioni

rapidamente si oppongono a

ritorno alle intimidazioni

sappiamo da dove vengono

sono contro ogni tipo di

spesso da lontano

tale distanza non è critica

talvolta accade

tenendo a distanza la critica

tentiamo una risposta

trasformando il discorso

tuttavia l’istituzione resiste

tutto accade come se

tutto ciò è detto come se

ultima osservazione

una nuova separazione

un nuovo spazio capovolge

valuta il nostro discorso

visibile nella tartaruga

(da Nanni Balestrini, Estremi rimedi)

Luigi Cinque

Lo vedevo alla Cramps discografica e sede della redazione di Alfabeta, Milano ’78. Nell’83 fui in scena con i Novissimi al Festival di poesia di Cogolin. Era la prima reunion dopo i teoremi del ’79 e l’esilio di molti intellettuali. Riparato in Francia Nanni organizzava ora la settimana con gli amici. Pomeriggi al Pastis ascoltando, in bar provenzali, conversazioni marxsituazioniste di Sanguineti, Pagliarani, Porta, Giuliani, Balestrini prima del “tutti in scena” con letture e musica. Un tavolo con il poeta, un sax allaSteveLacy, Valeria Magli che danzava. I francesi adoranti. Poi ci fu MilanoPoesia, e romapoesia quando Nanni, nei ’90, si trasferì in via Merulana. Qui trovammo l’intesa: suono e parola al centro del discorso senza doveri a Berio, Cage, i Griot, gli Aborigeni, il jazz e l’arte visiva. Parole… le sue, e tanto bastava. Ne abbiamo fatte… fino al suo saluto! Da poco, scrivendo per Orchestra, ho ricevuto dal “bardo” la chiave del combinatorio. Chiaro! Frammenti musicali si tras…formano. Grazie Nanni, maestro alchimista.

Giairo Daghini

In molti ci ritroviamo da Mudima nella mostra di Nanni il 25 Ottobre 2017 a delirare sull’Ottobre Rosso in quel giorno ho avuto un incontro di passione con Nanni sulla perennità della Rivoluzione sul fare e disfare continuo dei nuovi eventi che attraversano il mondo del vivente lui con fine radicalità tagliente io con la voce e il corpo in gran movimento infine con un abbraccio  mi ha regalato questo bellissimo triangolo rosso che penetra nel corpo del mondo che aveva ripreso da El Lissitsky e che ora ho portato qui nella casa sul fiume dove lui era venuto con Letizia e con Primo a scrivere una parte de L’Editore.

Gino Di Maggio

La gentile telefonata con cui Maria Teresa Carbone mi chiedeva un ricordo su Nanni Balestrini ha ridestato l’impressione del tempo trascorso, già un anno, dalla perdita di Nanni. Una rimozione avvenuta anche per il mio allontanamento da Milano e dalla Fondazione Mudima, la nostra casa comune.

Chi era Nanni Balestrini? Colui che per tutti era un poeta, uno sperimentatore, un erede della grande esperienza futurista e un valente artista visivo, era per me un amico fraterno.

Nel suo originale percorso ha usato fin dagli anni Sessanta una tecnica avanguardista, il collage, con un’immediatezza e una coerenza uniche, anche nel panorama internazionale di oggi. Quel suo sforbiciare, collazionare e incrociare, ha dato il via a un nuovo linguaggio.

Per William S. Burroughs, che Nanni molto amava, «tutta la scrittura è un cut-up, un collage di parole già lette, sentite e risentite». Di suo Nanni ha aggiunto immagini di situazioni e contesti particolari, ritagli, segni e frammenti di un’epoca, memoria del suo vissuto, ma anche attitudine strabiliante a creare relazioni pertinenti e impertinenti tra immagini e parole.

Paolo Fabbri

Non è sempre facile attribuire una poesia al suo autore e includerla poi nella cosiddetta opera omnia. È accaduto con il testo di Nanni Balestrini – Paolo che ci facciamo con le parole – dieci quartine sul tema caro a Nanni: il corpo a corpo con la lingua. Balestrini non ricordava di aver scritto quel testo e non ne conservava nessun originale. 

Per me, al contrario, era il testo di apertura dell’Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per Paolo Fabbri a cura di Pierluigi Basso e Lucia Corrain (Castelvecchi 1999), una raccolta di saggi per testimoniare la mia posizione dialogica con studiosi del linguaggio ma anche con artisti, poeti, pittori e musicisti, tra questi: Adami, Baudrillard, Berio, Eco, Latour, Lebel, Tadini.

Dopo attente consultazioni e ironiche attribuzioni il poemetto è entrato a far parte dell’opera non ancora omnia di Balestrini. All’occasione ricordo che il termine totus rinvia alla totalità chiusa, concetto non gradito a Nanni, mentre omnis ha il senso mobile di «non del tutto» orientato a una conclusione.

Questo poemetto inoltre non invita Paolo a nessuna effrazione o distruzione della parola. Balestrini interviene infatti non sui lessemi, ma sulle frasi quando le parole hanno già preso il senso compiuto di una intenzionalità. La poesia di Nanni è quindi antifrastica: il suo oggetto è una parola già enunciata, che ha già un senso e un valore da discutere o riaffermare.

Maurizio Ferraris

Parigi, Rue Falguière, Métro Falguière. Qui abitava Nanni fuggiasco per via delle inchieste del 7 aprile e io come galoppino di Alfabeta ero andato a portargli fotocopie degli articoli.

Era la primavera del 1980 o del 1981. Nanni era ancora giovane, molto più giovane di quanto lo sia io adesso. Indossava una giacca di velluto nocciola, pareva appena uscito dal parrucchiere, jeans impeccabili, aria mitissima. Se era un sovversivo, come dicevano certi magistrati, era davvero ben dissimulato.

Passano trent’anni e più, e lo rivedo per la seconda volta. Siamo a Roma con Cortellessa, Eco e tanti altri amici per parlare della seconda serie di Alfabeta. Mite come sempre, parendo vivere di niente, dolce ed esigente, gentile e umile. Proprio il contrario del suo corrispettivo per la prima metà del Novecento, Marinetti.

Chi, seguendo una tentazione ricorrente e drammaticamente falsa, sostenesse che non c’è differenza tra destra e sinistra potrebbe, con una semplice confronto fisiognomico tra i due, rendersi conto che la differenza c’è, eccome.

 

Manuela Gandini

Non è una puntata di Black Mirror. Tristanoil è un film di Nanni Balestrini (video Giacomo Verde), realizzato attraverso l’appropriazione di scene di catastrofi, giochi di borsa, notiziari, frammenti di Dallas, cartoon, guerra, lusso e discariche. Le 150 spaventose sequenze verbo-visive, vivaci e atroci, si rimixano all’infinito, attraverso un algoritmo, che genera nuove combinazioni. Tristanoil è il flusso di un sogno ininterrotto senza veglia nel quale Balestrini scarnifica il sistema nervoso del mondo e lo mostra crudo e vivo. Una patina oleosa di petrolio, oggetto di infezione planetaria, permea l’orizzonte rivelando la maleodorante falsificazione della realtà. In un bar tedesco del dopolavoro ferroviario, su un monitor, viene trasmesso un frammento di Tristanoil, il film che non finirà mai, che gli è sopravvissuto e sopravviverà anche a noi. È il 19 giugno 2012, il bar è a Kassel in uno dei siti di dOCUMENTA (13). Nanni, invitato alla rassegna, siede ironico davanti a un caffè.

Angelo Guglielmi

Ricordo che Balestrini nel primo incontro palermitano del Gruppo 63 (non ancora gruppo) era il solo che non intervenisse nella discussione pur concitata e di scontro (e così nelle successive riunioni del gruppo ancora a Palermo, a Reggio Emilia e ancora Reggio Emilia, a La Spezia e a Fano). Era muto e attivo, protagonista e assente. Ma sempre decisivo. Mi chiedevo (stupito) perché. Era che Balestrini ERA IL GRUPPO 63. Lo aveva organizzato in assoluta autonomia (con il solo aiuto nominalistico provenuto dalla Germania) con la determinazione di rendere pubblica una verità non più rinviabile e vistosamente trascurata dagli scrittori italiani del tempo: che il linguaggio della quotidianità è ormai desueto… i contenuti hanno sequestrato le parole ingabbiandole in uno spazio chiuso sclerotico e di frasi fatte. Liberarle significa allontanarle dalla soggettività (desoggettivarle) e restituirle alla loro autonomia (quanto a padronanza e cura di sé). Con l’ingiunzione di non ricadere nella suggestione dei significati puntando alla loro (delle parole) valorizzazione non come termini di senso ma come esse stesse senso.

Flavia Mastrella

Ricordo lo sguardo di Nanni Balestrini che attento analizzava ogni cosa o persona con la curiosità da ragazzo negli occhi.

Peppe Morra

Carissimo Nanni,

ti scrivo durante questa esperienza che ci tiene tutti relegati all’interno delle nostre realtà. Un vero e proprio percorso tra le pareti dense e piene di tanti tuoi pensieri, lavori, documenti, poesie sparse. I progetti qui a Casa Morra sono in continuo divenire, così come lo spazio a te dedicato con la tua Colonna Verbale che continua a suscitare tantissimo interesse nei giovani. In questo fluire resistente, tutti i tuoi lavori qui presenti saranno, di volta in volta, sistemati come una, mille, centomila voci per comunicare l’imprevedibile e profondo futuro del Gioco dell’Oca-100 Anni di Mostre.

Oggi è lunedì e, purtroppo, le pizzerie che a te piacciono sono chiuse ma prometto che la prossima volta mangeremo insieme la migliore pizza di Napoli.

Giulia Niccolai

In una delle sue prime raccolte di poesia, credo in Sasso appeso, Balestrini menziona un tergicristallo: «Ma dove stiamo andando col mal di testa la guerra e senza soldi? / oltre il tergicristallo ronzante? Denotando una reale / e comune volontà di riscatto? che sciocchezze! (né la folla / di sghimbescio parve notare, tutti compresi nei loro piedi».

Molti di noi, della stessa generazione di Balestrini, se lo ricordano da allora, qualcosa come una sessantina di anni fa, e ogni tanto ce lo siamo ripetuto a mezza voce, quando era il caso di farlo.

Così, è come se un tergicristallo vero e proprio, uno in poesia e uno visivo e uditivo, impressi nella coscienza mentale, mi abbiano accompagnato tutta la vita, anche dopo aver smesso di guidare l’auto.

Aldo Nove

(Corrado Costa)

 

Agare, con la c della p in due

Ecco l’apocalisse di Jerry Lewis,

a convulsione spastiche di subprime

e lazzaretti sulla piattaforma

di zoom, gentile

pubblico di chi ti amato. Ed ecco,

Nanni, lo spettacolo che

ti sei perso, il taglia

e taglia e ritaglia

senza incollare niente

del turbocapitalismo

deficiente, e l’avatar della

gente sparso

a terra, e il prezzo mostruoso

del niente ogni giorno da

agare, con la c

della p in due

sforbiciate al consenso ronzante

del mal di testa

ipomondiale: a che valse,

a che vale, il sale,

il salario,

il pepe, l’operaio e la zanzara in gara a

agare, con la c

della p in due

sforbiciate, annichilita,

ready-made della vita, Nanni,

nome commerciale

dello Stracchino

del nonno e forza

nostra residuale, con te

né morti né vivi a tagliare in due

il culo dei passeri

restiamo e vedrai che

un giorno, te lo prometto,

non so più che cosa,

per te, per noi vinceremo.

Antonio Rezza

Ricordo che un giorno del 1998 Nanni Balestrini, in compagnia di Rossana Campo, venne ad Anzio a trovare me e Flavia Mastrella per convincerci che non bisogna aver paura della morte. Secondo Balestrini la morte arriva perché ci si stanca della vita, viene a proposito per sollevarci dalla fatica dello stare in piedi. Io eccepii più volte, dicendo che mi divertivo, che non si può interrompere una gioia di così immani proporzioni solo perché la pelle si arrende alla stanchezza. Ma lui insisteva e mi assicurò che alla fine tutti avvertiremo lo sfiancamento inflitto dall’esistenza. Spero abbia ragione Nanni, altrimenti saranno guai seri.

Franca Rovigatti

il cuore pieno di bottoni, qui in basso leggendo il suo trucco era un garbo del cuore com’erano belle dalla barca, soffiamoci sopra, fine. Questo è tutto per ora in questo momento è come se fossimo già invece siamo appena Lieto fine: cresce (sul concetto di morte non è necessario alcun chiarimento). cresce nelle tue mani; e ciò che è più strano è che uno non se lo immagina bene dove potrebbe essere arrivata la lunga attraversata soffiamoci sopra, fine.

Questo è tutto per ora soffiamoci sopra, fine. com’erano belle dalla barca, Lieto fine: cresce in questo momento è come se (sul concetto di morte non è necessario alcun chiarimento). fossimo già invece siamo appena e ciò che è più strano che uno non se lo immagina bene cresce nelle tue mani: dove potrebbe essere arrivata la lunga attraversata il cuore pieno di bottoni qui in basso leggendo il suo trucco era un garbo del cuore soffiamoci sopra, fine.

Carla Subrizi

Cosa facciamo Nanni?  Nel corso di tante cene con Gianfranco (Baruchello) e Nanni abbiamo pensato quello che (dal 2003 al 2007) è diventato RomaPoesia alla Fondazione, insieme a molte idee. Abbiamo collaborato ma soprattutto immaginato tantissimo insieme.  Qui Nanni partecipa a  un progetto, dal titolo Viaggio in tempo reale che gli era piaciuto molto, in occasione di RomaPoesia nel 2007: un viaggio in due pullman di tanta gente e amici dal  Teatro Colosseo (con l’aiuto di Simone Carella) fino alla Fondazione, in campagna, con soste lungo il percorso per interventi di poeti, musicisti, artisti, attori (in un campo rom guidati da Lorenzo Romito, nella periferia di Labaro con Antonio Rezza che improvvisa un teatro dalla sua auto, uscendo dal portabagagli, di Alvin Curran che all’Auditorium in esterno suona il digeridù, e poi di Ilaria Drago, Tomaso Binga, etc.), con guide d’eccezione come Renato Nicolini e Achille Bonito Oliva, che con Nanni avevamo dissuaso, divertendoci molto, dal volere viaggiare, davanti ai pullman, su una carrozza con cavalli bianchi. A tarda sera arrivati alla Fondazione, Nanni si rivolge al pubblico con una sua poesia.   

G.B. Zorzoli

«Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni

e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita»

«Se con la vostra arte, amatissimo padre, avete
sollevato quest’urlo dalle onde selvagge, ora calmatele.
Sembra che l’aria voglia rovesciare fetida pece,
ma che il mare, alzandosi fino al volto del cielo,
ne attenui il fuoco»

Shakespeare, La Tempesta