«Il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega aveva dimenticato l’arma e comunque non aveva alcuna possibilità di reagire»: è uno dei passaggi della conferenza stampa indetta ieri a Roma da carabinieri e procura per fare chiarezza sulla dinamica dell’omicidio di Rega, giovedì notte, durante un’operazione in borghese con il collega Andrea Varriale. «Aveva con sé le manette ed era in servizio. La pistola l’abbiamo trovata nel suo armadietto in caserma, perché fosse lì lo sa solo lui» ha specificato il comandante provinciale, Francesco Gargaro. È stata sottovalutata la pericolosità della situazione: «Non immaginavano di trovarsi di fronte una persona con un coltello di 18 centimetri, tipo marines, e non si aspettavano neanche di essere aggrediti nel momento in cui si qualificavano come carabinieri», ha aggiunto.

Erano andati a Prati all’appuntamento con i due californiani Christian Gabriel Natale Hjort e Finnegan Lee Elder per recuperare lo zainetto che avevano sottratto al pusher Sergio Brugiatelli: cento euro e una dose di coca in cambio di documenti, chiavi e cellulare, insomma «un cavallo di ritorno». «Si tratta di un servizio che a Roma si fa ogni giorno o quasi» hanno spiegato dall’Arma. Rega ha afferrato da dietro Elder ma il ragazzo ha tirato subito fuori il pugnale che aveva sotto la felpa e l’ha colpito 11 volte. Varriale era armato ma impegnato in una colluttazione con Hjort, non ha estratto la pistola. Rega si è accasciato e i californiani sono scappati. «Nel momento in cui si sono qualificati sono stati immediatamente aggrediti, pochi attimi in cui Varriale è stato sopraffatto e buttato a terra. Non poteva esplodere colpi in aria, né poteva sparare a un soggetto in fuga altrimenti sarebbe stato indagato per un reato grave», ha puntualizzato Gargaro. Con Rega agonizzante, il collega è andato all’auto per attivare i soccorsi, i rinforzi sono arrivati quando i due erano già scappati: «C’erano quattro pattuglie, che non dovevano essere visibili per non pregiudicare l’operazione, sono intervenute pochi minuti dopo l’allarme». Forse però erano troppo lontane dal luogo dell’appuntamento. «Vorrei esprimere disappunto per i presunti misteri che sono stati sollevati in merito a questa vicenda» ha sottolineato Gargaro, anche se poi ha ammesso: «Ci sono ancora diversi aspetti su cui dobbiamo lavorare e fare degli approfondimenti».

Questione magrebini. Venerdì alle 9 viene diffuso un comunicato: si cercano due nordafricani sospettati dell’omicidio. In tarda mattinata vengono fermati i californiani, in serata arrivano le confessioni. La notizia sui magrebini ha continuato a girare senza una vera e propria smentita. Sui gruppi delle forze armate vengono diffuse foto segnaletiche di tre marocchini e un algerino. I carabinieri danno la colpa a Brugiatelli: «Ci ha dato l’indicazione dei magrebini subito dopo l’omicidio. La sera successiva in caserma ha ammesso che erano americani». E il procuratore Michele Prestipino: «Ha parlato di due persone di carnagione scura, forse magrebini. Aveva il timore di dire che li conosceva, non voleva essere associato al fatto. Solo dalle immagini si è scoperto l’antefatto». Cioè la vendita di coca a Trastevere andata a vuoto e la vendetta con il cavallo di ritorno. Ma quattro carabinieri fuori servizio avevano assistito alla scena interrompendo la transazione. Inoltre a Prati Brugiatelli era rimasto vicino all’auto civetta, lontano dal luogo dell’omicidio, e nell’ordinanza della gip c’è la sua descrizione dei due:

«Avevano un accento inglese, credo americano». Varriale (che aveva già incontrato Brugiatelli a Trastevere con Rega) avrebbe potuto indirizzare subito le indagini ma «era sotto choc», spiegano.

Caso foto. L’immagine di Hjort, già in custodia, bendato e ammanettato ha fatto il giro delle chat. L’Arma ha avviato un’indagine interna e anche la procura si è attivata. Prestipino sottolinea: «Sono stati interrogati liberi da vincoli, senza segni di alcun genere. Gli interrogatori sono stati effettuati alla presenza dei difensori, dell’interprete e previa lettura delle garanzie di legge». E ai giornalisti Usa che evocavano il caso Knox: «La procura di Roma è abituata a trattare indagati di qualsiasi nazionalità».