Chiamatela nostalgia canaglia, ma il fascino del mondo che ruota intorno ai Pink Floyd non può che evocare un passato da favola per gli amanti del rock. A rievocarlo tocca stavolta a David Gilmour, settant’anni appena compiuti, in tour dopo dieci anni per supportare l’album licenziato giusto dieci mesi fa, Rattle that lock, il quarto lavoro di una carriera avara di progetti solisti (appena quattro) spesa nel nome della storica band britannica. E David, chitarrista diventato leggenda grazie a un suono struggente ed evocativo che ha sedotto – e continua a farlo – molte generazioni di fan, conosce bene l’impatto simbolico dell’età d’oro del rock.

Nel lunghissimo set diviso in due parti – oltre tre ore –  proposto al Circo Massimo (stasera si replica), di ventitre brani in scaletta, quattordici appartenevano proprio al classico repertorio della band di Dark side of the moon.

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E così la lunga notte nel panorama mozzafiato vista Palatino – nell’ambito del festival Postepay Rock in Roma – si trasforma in un evento da ricordare per i 13 mila tutti rigorosamente seduti in una platea costruita ad hoc (così non sarà fra quindici giorni per il mega evento con Springsteen che occuperà l’intero spazio, cinquantamila biglietti già staccati…).

Su un palco immenso ma spartano, fondali neri e un solo schermo rotondo che servirà per proporre video e riprendere le mani del musicista durante gli assoli, David Gilmour è accompagnato da una band da sogno, dove al fianco di Guy Pratt al basso e Steve DiStanislao alla batteria, si aggiungono alla chitarra Chester Kamen  (al posto di Phil Manzanera) mentre alle tastiere accanto a Chuck Leavell si aggiunge un musicista del calibro di Greg Phillinganes e un trio di vocalist perfetti nel sorreggere la voce a volte un po’ claudicante del leader.

L’inizio è affidato alle nuove canzoni, è il rock melodico appena sporcato di psichedelia di 5am, il pop rock del brano che intitola il disco, un trittico chiuso dalla maestosa Faces of stone – il migliore della raccolta. Poi è già il momento di un tuffo nel pasato. E che tuffo, i primi accordi di chitarra e tutti hanno riconosciuto Wish you were here e il senso di solitudine che il pezzo evoca, poi in sequenza gli estratti dall’album che a quarantatre anni dalla pubblicazione è ancora presente nella classifica di Billboard, Dark side of the moon, da cui escono Money – con il primo lungo assolo di Gilmour –  e Us and Them, mandando in estasi i pubblico della calda serata romana  che non si fa distrarre nemmeno dalla lotteria dei rigori di Italia Germania.

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Quindici minuti di pausa e si riprende, è tempo di accontentare i fan della prima ora: Astronomy Domine dal primo album del 1967 è perfetta per aprire il secondo atto, pura catarsi psichedelica con il fantasma di Barret che si aggira sul palco, mentre  formidabili giochi di luci stroboscopiche tagliano in due la platea e le tribune. E prosegue l’opera di ‘ripescaggio’ dal songbook pinkfloydiano con l’esecuzione integrale della suite di Shine on you crazy diamond, mentre sullo schermo scorrono le immagini del filmato realizzato da Storm Throgerson nel 1994, e poi Fat Old sun da Atom heart mother.

E c’è spazio ancora per i brani di Rattle that lock – che non sfigurano accanto ai capolavori – come un’imprevedibile torch song The Girl on the yellow dress, o il recupero di On an Island, ma il gran finale – prima del bis – è tutto da ballare: Run like hell, una delle due concessioni all’opera rock The Wall, ultimo canto del cigno dei Pink Floyd decisamente segnata equamente dall’ego e dall’estro di Roger Waters.

Davide e i musicisti abbracciati salutano la folla, ma – è il gioco delle parti – è solo l’annuncio del bis, che arriva puntuale a chiudere la serata capitolina: ed ecco Time, dove la fender nera di GIlmour fa meraviglie e la voce di Phillinganes sostituisce quella dello scomparso Richard Wright. E si chiude – con il pubblico in piedi con i fazzoletti in mano – sulle note di Comfortably numb. Giusta conclusione di un viaggio sentimentale nel segno del rock. Il tour italiano di Gilmour fa tappa il 7 e 8 a Pompei per chiudersi il 10 e 11 luglio all’Arena di Verona.