«Il velo islamico è sicuramente il simbolo dell’oppressione, anche se in forme e gradazioni diverse. La libera scelta di portare l’hijab, invocata in nome della religione, della tradizione e/o dell’identità, in fondo risponde solo all’ossessione maschile del corpo della donna. Il Corano, infatti, non prescrive l’uso del velo».
Inizia così Donne ingannate. Il velo come religione, identità e libertà (Il Saggiatore, pp. 196, euro 18) di Giuliana Sgrena. In libreria da domani, questo interessante saggio sarà presentato dall’autrice il 19 maggio alla Casa delle Donne di Milano (ore 18:30 via Marsala 10). Duecento pagine, in cui il racconto della reporter sul campo è affiancato da approfondimenti tratti anche da testi accademici.

Rispetto ad altri libri sul velo, questo di Giuliana Sgrena ha lo sguardo lontano di chi certe esperienze le ha vissute veramente. Il primo capitolo è, per esempio, ambientato a Kabul nel 1970 e ha protagoniste due ragazze con abiti svolazzanti dai colori accesi che sorseggiano un tè sedute al bar di un hotel.

L’AUTRICE espone le tesi degli integralisti, ribatte a tono. Nel suo mirino finiscono anche tutti coloro che, per lo più nelle sinistre europee, hanno fatto del relativismo culturale una bandiera. Coloro che hanno detto sì al velo perché è la loro cultura. E con la stessa faciloneria – si potrebbe aggiungere – avrebbero avuto il coraggio di acconsentire alle mutilazioni genitali femminili in forma lieve, in ospedale. Sì, perché quella era la cultura delle altre donne, delle musulmane. A loro, benpensanti italiane ed europee, e alle loro figlie, quell’orrore non sarebbe mai toccato. Per fortuna, le mutilazioni genitali femminili sono state vietate in Italia. Come osserva una delle intervistate, «è difficile accettare che in Occidente una parte della galassia femminile abbia fatto della difesa del velarsi una delle sue grandi cause, un tradimento completo della sorellanza e del femminismo».

QUESTO VOLUME è in primo luogo la testimonianza di una giornalista italiana, per decenni inviata del manifesto in Africa e in Medio Oriente. Diviso in tre parti, religione, identità e libertà, vi sono pagine in cui scorrono la passione e l’impegno di chi ha dedicato la vita a raccontarci che cosa stava succedendo nei teatri di guerra: l’Afghanistan, l’Algeria, la Bosnia, l’Iran, l’Iraq e la Somalia. Senza tralasciare la presenza musulmana in Italia e nel resto dell’Occidente, dove troppo spesso le giovani donne che cercano di sfuggire al sistema patriarcale sono vittime di omicidi efferati da parte dei loro stessi famigliari. «Le leggi non bastano per eliminare la violenza sulle donne», scrive Giuliana Sgrena. E persino nella nostra civilissima Italia le leggi che dovrebbero proteggerci sono alquanto recenti. Basti pensare alla riduzione di pena per il delitto d’onore (da ventun anni a un massimo di sette) introdotta in Italia ai tempi del fascismo dal Codice Rocco nel 1930 e abolita soltanto il 5 agosto 1981.

Con Giuliana Sgrena si può non essere d’accordo, ma un fatto è innegabile: l’obbligatorietà del velo è la punta dell’iceberg di un sistema islamico che vuole la donna sottomessa. Ne è la prova l’imposizione del burqa con decreto da parte dei Taleban in Afghanistan, dove le donne sono in gran parte escluse dai lavori pubblici ed è loro vietato viaggiare da sole.

SE A MARZO i talebani hanno chiuso le scuole superiori e i college alle ragazze, poche ore dopo la loro riapertura da tempo annunciata, il 7 maggio è stato comunicato che per evitare provocazioni «le donne che non sono né troppo giovani né troppo anziane dovrebbero velarsi il viso di fronte a un uomo che non è un membro della loro famiglia». Ma non solo: se non hanno un compito importante da svolgere all’esterno, è «meglio che rimangano a casa».
Una decisione che riporta la storia indietro di oltre vent’anni. I talebani avevano infatti imposto l’uso del burqa durante il loro regno tra il 1996 e il 2001. Dopo aver preso il potere a metà agosto 2021, avevano promesso di essere più flessibili, ma nel giro di poco tempo hanno iniziato a non rispettare questa promessa erodendo gradualmente e costantemente i diritti e le libertà delle donne.