Non abbiate fifa. Fate come Matteo Pessina, tuffatevi senza paura. Buttatevi nella vita. Quella reale. La storia è questa, è l’immagine di un tutto sull’erba di Wembley. Arriva dopo il gol del centrocampista della Nazionale e dell’Atalanta, quello del 2-0 contro l’Austria. Lo fa lui e poi corre e «improvvisa». Si tuffa come farebbe un salmone quando risale la corrente, braccia lungo i fianchi e giù sull’erba dell’Arena. Finita la partita molti diranno che il suo non è stato un gesto spontaneo, ma la trasposizione reale di qualcosa che accade nel virtuale. Per capirci: una delle esultanze previste nella grafica di FIFA, videogioco-calamita che ipnotizza grandi e piccoli, sicuramente apprezzato da calciatori di ogni categoria.

INVECE non è così, il videogioco (o come diavolo lo chiamano oggi) non c’entra, non con il tuffo di Pessina. Che ieri ha raccontato: «L’esultanza dopo il gol contro l’Austria mi è venuta spontanea, dopo che ho segnato non ho più capito nulla, ho iniziato a correre e poi mi sono buttato, tutto qui. So che non mi conoscete ancora bene, ma sono fatto così, sono spontaneo. Ora mi dicono che sono un paio di giorni che quel tuffo lo fanno in tanti, lo ripetono in mare o su un prato e questo mi piace, è bello lasciare qualcosa capace di rendere felice la gente». La prima cosa bella però è un’altra: è la vita reale, che si appropria della realtà virtuale. E non il contrario.
Capire il contesto, vivere con quello che ti sta intorno. Pessina, ieri, dice anche molte altre cose. Si ricorda così che non ha tatuaggi, che «la famiglia prima di tutto, ma il calcio subito dopo», che studia davvero Economia e Commercio. Quando gli chiedono a chi assomiglia la Nazionale dove gioca la paragona al Ramo di mandorlo in fiore, perché lui in camera ha un poster (con il capolavoro) di Van Gogh e non quello con un gol di Van Basten, per dire. Ecco, sarà (è) tutto vero. E per fare un ritratto del giovane eroe, per regalare un titolo, è tutto molto bello, anche troppo. Però sembra un po’ meno spontaneo. Ed è con la sincerità che le parole e i gesti hanno un peso, dicono qualcosa, lasciano il segno. Tuffarsi non è come inginocchiarsi, è un’altra storia. Pensare che il razzismo abiti nelle menti dei calciatori della Nazionale italiana è sbagliato. Così come è scontato ironizzare sul lapsus di Giorgio Chiellini, capitano azzurro, quando dice «nazismo» e in realtà vorrebbe dire «razzismo». Un’idea? Abbiano tutti il coraggio di tuffarsi. Chi può fare un gesto sacrosanto. E chi vorrebbe che un «giovane eroe» facesse quello che si aspetta il suo pubblico. Tutto calcolato, spontaneamente.