Nella marea di saggi e testimonianze sulla Corea del Nord, D.B. John in Stella del Nord di (DeA Planeta, pp.576, euro 18) sceglie la strada della fiction, mettendo in scena un thriller ambientato tra Corea del Nord e Stati uniti. Una vicenda che unisce spie e vita quotidiana, generali nordcoreani in ascesa e poi in drammatica caduta a causa delle proprie origini familiari, i piani più spietati e incredibili attuati da Kim Jong-il e la loro ricaduta sui cittadini nordcoreani. Il libro è ambientato tra il 2010 e il 2011: l’ultimo periodo di regno di Kim Jong-il prima della sua morte e dell’avvento al potere di Kim Jong-un.

Lo sfondo è la Corea del nord come emerge dai racconti dei tanti esuli con il quale l’autore ha parlato a lungo. Siamo di fronte a un libro dalla trama complessa che restituisce in forma narrativa quanto chi segue la Corea del nord e le sue evoluzioni conosce bene. Scegliere la fiction comporta il rischio di sminuire la drammaticità di una realtà che di per sé – spesso – pare più potente dell’immaginazione. D.B. John, però, tiene ferma l’attinenza, lavorando con l’immaginazione solo nei meccanismi che creano i nodi da dipanare perché la trama evolva. In occasione dell’uscita del libro, abbiamo intervistato l’autore a Roma.

Nel suo romanzo descrive con grande precisione la vita dei mercati informali e quella all’interno delle alte sfere del partito. Lei ha raccolto queste storie dagli esuli. C’è qualcosa nel materiale collezionato che ha deciso di non inserire?
I mercati hanno consentito la sopravvivenza delle persone dopo la grande carestia, quando il sistema di distribuzione del cibo collassò. Ancora oggi i mercati hanno questa funzione, inclusa la possibilità di accedere al riso, che prima era fornito dallo stato come «regalo» dei leader. Mi è rimasta impressa la testimonianza di un ex soldato di 27 anni arrestato perché distribuiva musica cristiana. Parlando con lui ho capito che c’era una parte della storia di cui non voleva parlare. Ad esempio, i trattamenti ricevuti dalla polizia segreta di Pyongyang, benché avessi notato che gli mancava il dito di una mano. In questi casi, ho usato l’immaginazione. Per il resto, ho messo dentro tutto quanto ho raccolto, compresi i dettagli più assurdi, all’apparenza. Gli esuli hanno sempre paura di non essere creduti. Ho omesso solo alcuni particolari delle torture: ho pensato potessero risultare eccessivamente duri per i lettori.

Nel libro, Kim Jong-il sostiene di non volere aiuti dagli americani capaci di portare benessere al suo paese. Secondo lei, anche Kim Jong-un è su questa posizione?
La prosperità offerta in cambio della denuclearizzazione sembra una buona offerta, ma offrire un boom economico significa un rischio per il regime. Se si elimina il bisogno di procacciarsi cibo, che è la principale preoccupazione della popolazione, l’attenzione finisce per andare altrove. Il controllo sulla popolazione è proprio la base di questo sistema di potere.

Eppure si sta sviluppando una middle class
Sì è assolutamente così, ma il modo in cui le persone ancora oggi fanno soldi è «informale» e illecito in teoria, oppure è dipendente dalle concessioni dei leader. Quello che mi ha affascinato è che chi prospera lo fa solo grazie alla propria fedeltà al regime.

Molti defectors sono stati più volte colti in contraddizione, alcuni sono stati accusati di «invenzioni». Che ne pensa?
Il primo defector negli anni ’90 fu ricevuto con tanto di conferenza stampa, i giornalisti quasi non credevano a quanto raccontasse. Di sicuro qualcuno di loro ha modificato le proprie storie, ma c’è da considerare il trauma al quale sono stati sottoposti; è difficile anche raccontare quanto hanno vissuto in modo che risulti credibile, alcuni confondono le date, ma io credo che vadano difesi. Alcuni sono sotto pressione dalla stampa, che vuole storie forti, ma la maggior parte di loro dice assolutamente la verità. Sono vissuti in una società davvero unica, ad adorare i Kim fin da piccoli. È bizzarro, ma è davvero successo, ci sono tante testimonianze al riguardo.

C’è anche l’Erede, nel suo romanzo, nominato ma mai visto in «primo piano». Che idea si è fatto di Kim Jong-un?
Nessuno sapeva chi fosse, l’esercito era preoccupato, si pensava che non sarebbe durato. Ma ormai c’è un crescente rispetto nei suoi confronti. Ha dovuto agire in fretta per farsi rispettare. E lo ha fatto con purghe, eliminando i rivali, blindando i confini per evitare la fuga della sua popolazione. E nello stesso tempo ha fatto passi da giganti nella corsa agli armamenti e al nucleare. In più, ha giocato sulla somiglianza con il nonno. E ha chiuso un occhio nei confronti del mercato illegale, al contrario del padre molto più paranoico riguardo al rischio che valori occidentali potessero fuorviare i suoi sudditi.