Quattro rayogrammi dai colori vivaci con alcune chiazze che sembrano inchiostro o una mappa di costellazioni, polvere di stelle impressa su carta fotografica. Sono manciate di ceneri della madre, tracce di chi non c’è più, fotogrammi realizzati senza macchina fotografica che uniscono i corpi di madre e figlia, della quale si intravede la mano. Un pretesto artistico e simbolico per riportarla in vita grazie alla luce che le fa apparire. Un progetto complesso e doloroso che ruota intorno ai temi della morte e della maternità e tutte le sue sfaccettature e costruzioni sociali.

È Who is changed and who is dead, seconda monografia dell’artista e fotografa Ahndraya Parlato, pubblicato nel 2021 da Mack Books. Nata a Kailua, Hawaii, l’autrice ha realizzato un lavoro molto personale e autobiografico per riflettere su temi universali a partire da una prospettiva profondamente soggettiva. Testi e fotografia, complementari e autonomi, si alternano ad acquerelli e nature morte, ceramiche, oggetti artistici, sculture, disegni, ritratti, paesaggi, scatti con la camera oscura, composizioni in posa e altri mossi e sfuocati, più spontanei, come nel caso delle figlie piccole che corrono e si muovono davanti all’obiettivo.

Ahndraya Parlato è per la prima volta in mostra in Italia con una sua personale allo Spazio Labò di Bologna, a cura di Laura De Marco, che dopo la pausa estiva sarà nuovamente visitabile dal 6 al 30 settembre. L’artista statunitense, laureata in fotografia al Bard College, un master in belle arti al California College, docente di fotografia al Rochester Institute of Technology, ha costruito questa pubblicazione intorno a due eventi fondamentali: la morte, a partire dal suicidio della madre, affetta da malattia mentale e l’omicidio violento della nonna, e la nascita delle due figlie. Vita e morte, eventi scatenanti per riflettere sulle contraddizioni della maternità e porsi alcune questioni sulla mortalità, la genitorialità e le paure, le questioni di genere, la sessualizzazione del corpo femminile e infantile.

«Who is changed and who is dead» – Ahndraya Parlato, courtesy of the artist

IL RAPPORTO MADRE-FIGLIA è un tema sensibile per ogni donna che si carica di nuovi significati quando, a propria volta, si diventa genitori. Un ruolo che l’artista analizza cercando di capirne il processo, non così lineare e naturale come la società pretenderebbe. Parlato indaga le relazioni, la malattia, i legami familiari. Who is Changed and Who is Dead mette insieme diversi generi e linguaggi per restituire un racconto visuale e testuale, poetico ed evocativo, sulla paura della morte che diventa un pensiero e uno spettro sempre presente nel momento in cui ci si deve occupare di due bambine.

IL TESTO È DIVISO in due parti, una indirizzata alle figlie e una alla madre. Negli scatti l’artista si rifà alla tradizione fotografica delle madri nascoste dell’Ottocento: celate da un telo, non dovevano apparire, la loro presenza era necessaria solo a tenere in braccio i neonati. Un messaggio simbolico sulle donne invisibili, anonime: una volta trasformatesi in madri scompaiono dietro al loro ruolo, si fanno da parte per dare spazio ai figli, donne che finiscono di essere tali in quanto madri.
Abbiamo incontrato Ahndraya Parlato che ha raccontato così il suo lavoro: «Prima di diventare madre non ho mai avuto paura di morire, qualcosa è cambiato dopo esserlo diventata, ho iniziato a pensare di non potermi permettere di morire, dovevo mantenere le mie figlie in vita, avevo paura che potesse accadermi qualcosa e avrei dovuto lasciarle sole…».

«QUANDO SI È INCINTA si vorrebbero sapere molte cose, parlare della gravidanza con la propria madre, ma io non avevo questa possibilità. La sua assenza e la sua morte si sono riaperte durante la maternità. Avevo ventitré anni quando si è suicidata, un’età in cui non si affronta il tema della maternità, per questo in un certo senso è stato come perderla di nuovo. Ho perso una serie di informazioni che solo lei sarebbe stata in grado di darmi. È stato un richiamo alla perdita».

Per questo motivo, Parlato è tornata a confrontarsi con quella morte, oltre alla sua e quella delle figlie. Tre generazioni, quattro considerando anche il drammatico omicidio della nonna.

«Tutto questo si è attivato e ha cominciato a occupare uno spazio mentale. Alla nascita della mia prima figlia non avevo ansie quotidiane sulla sua sopravvivenza, ma quando ho cominciato a scrivere il libro mi sono resa conto che le mie paure sulle bambine erano più complesse: che potessero essere rapite, stuprate, pensieri sempre più cupi. Pensavo di star bene come neomamma, ma qualcosa ha rotto la superficie. Quando ho realizzato una parte del progetto vivevamo ai Caraibi, faceva molto caldo, e le bambine giravano per lo più nude, per questo lo sono anche negli scatti. La nudità in quella fase era fedele all’esperienza e al modo di vivere, era naturale non vestirle per ritrarle. Riguardandole, ho riflettuto sulle immagini dei corpi di donne nude non sessualizzate, chiedendomi se ci sia spazio per questo. In teoria durante l’infanzia il corpo non dovrebbe esserlo, ma in realtà nella società contemporanea non è così. L’unico modo perché questo diventi possibile è lottare politicamente. Le foto delle mie figlie non vanno viste sotto la lente distorta della sessualizzazione, ma so che non è facile. Il progetto è legato alla genitorialità e a quanto ancora le donne continuino ad avere il carico maggiore».

LO STILE DEGLI SCATTI è semplice, diretto. Ahndraya Parlato ha un interesse estetico formale per la ricerca di luce, colore e forme, usa macchine di vari formati e digitali, soprattutto con le bambine, mescola fotografia diretta di oggetti a messe in scena, unisce vari approcci fotografici. Il libro tenta di normalizzare l’ansia, i traumi, il dolore, come parti integranti dell’esistenza umana.

L’autrice interroga i suoi timori, se siano uguali al passato e più forti nel caso di figlie femmine. In mostra, i testi sono stampati su carta fotografica che non ha subìto l’ultimo bagno fissante così che la luce possa incidere ancora e nel tempo le parole siano destinate a diventare scure. Una scelta precisa di allestimento come a sottolineare quanto tutto sia destinato a scomparire, a morire appunt