Per bocca della totalità degli attori politici, istituzionali e mediatici che lo hanno tenuto a battesimo, il governo Draghi nasceva sulla scia dell’ennesima emergenza italiana; e alla risoluzione dei due corni dell’emergenza – la pandemia e l’accesso al recovery fund – la sua azione si prevedeva limitata. Via via che l’esperimento politico guidato dall’ex banchiere centrale procede, pare tuttavia legittimo iniziare a porsi domande a proposito del nucleo politico forte dell’intera operazione. Che può essere ravvisato nella normalizzazione del sistema politico previa al ripristino di una “normale” democrazia dell’alternanza.

Storicamente i governi di larghe intese sono stati infatti il punto di partenza per la costruzione di una democrazia dell’alternanza. Un lavacro nel quale purgare le punte più riottose del sistema politico. A prima vista si tratta di un passaggio contraddittorio: un’operazione tecnicamente trasformista come quella basata su partiti antitetici che convergono al governo è chiamata a fare da anticamera ad uno schema che nega alla radice il trasformismo come quello, appunto, della democrazia dell’alternanza.

La realtà tuttavia è un’altra: la democrazia dell’alternanza può infatti funzionare solo dopo che il trasformismo è stato a tal punto introiettato dalle forze politiche, che esse possono alternarsi al governo senza che ogni cinque anni si svolga una simulazione, tragica o farsesca che sia, di guerra civile. Se, come notava Gramsci, il trasformismo è figlio dell’egemonia di un gruppo sociale, il trasformismo perfetto è figlio di un’egemonia perfetta, capace di raccogliere al suo interno tutte le pieghe del gioco politico, senza che l’affermazione di alcun partito possa metterla in forse.

Il caso storico dell’Italia repubblicana è da questo punto di vista esemplare: gli andirivieni nella dialettica politica della prima repubblica, spesso attribuiti ad un’innata propensione al trasformismo dei partiti, sono al contrario da addebitare all’irriducibilità al disegno trasformista del movimento operaio italiano, talmente forte da mantenere aperta fino al tornante decisivo degli anni Ottanta la questione della direzione sostanziale della politica e dell’economia.

Il ventennio berlusconiano aveva nascosto, dietro un’asprezza di toni inusitata, il perfetto dispiegamento trasformista dei partiti, ma la crisi del 2008 è giunta a rimescolare le carte in tavola, con la conseguente irruzione sulla scena di una forza come il grillismo. Il riformismo del governo Conte bis – oggettivamente timido ma non percepito come tale dalle élite capitalistiche del Paese – era sembrato poter dare alcune risposte alla rottura operatasi con la crisi. Per questo c’era bisogno di un governo di normalizzazione ricostituente. La posta in gioco è dunque una normalizzazione delle forze politiche in grado di far ruotare l’alternanza tra di esse attorno al perno costituito dalle regole dell’accumulazione capitalistica, secondo i rapporti di forza operanti all’interno della struttura socio-economica del paese.

La democrazia deve essere riportata alla sua analogia coi meccanismi di mercato, con i votanti nel ruolo di consumatori di un mercato politico di cui i partiti sono gli imprenditori. Imprenditori oltretutto monopolisti. E in regime di monopolio, dove esistono pochi venditori, essi non hanno bisogno di rispondere alle domande dei consumatori, come invece devono fare in un sistema pienamente competitivo. Anzi sono loro i creatori della domanda. Fuor di metafora, la democrazia dell’alternanza si nutre di apatia politica, ed i partiti che accettano il gioco hanno il potere di decidere quali ambiti possono essere oggetto di battaglia politica, e quali invece essere lasciati, per usare una metafora cara a Draghi, al pilota automatico del mercato e dell’accumulazione capitalistica. Ben vengano gli appelli e i contro-appelli sul green pass, ma i rapporti di forza tra gruppi sociali devono essere lasciati intonsi.

In questo scenario, la vicenda della Gkn occupata rappresenta uno scandalo esemplare. I lavoratori in lotta innescano militanza, partecipazione, domande politiche crescenti e ravvivano un nesso forte tra conflitto sociale ed istituzioni, tra società e politica. Rompono sul nascere lo schema trasformista, escono dall’angusto mercato politico in cui la nuova normalizzazione vorrebbe rinchiuderci.

Il governo, altrettanto esemplarmente, prende lucciole per lanterne, e risponde alla richiesta di bloccare le delocalizzazioni con un disegno di legge che non va oltre la loro regolamentazione. In futuro ci si potrà dividere sull’opportunità o meno di usare whatsapp per i licenziamenti collettivi, ma non sulla libertà assoluta per il capitale finanziario di attaccare ovunque il lavoro e i suoi diritti. Insorgere al fianco dei lavoratori della Gkn vuol dire anche iniziare a progettare dal basso un sistema politico più giusto e democratico.