L’Italia è un paese di creduloni economici. In tale materia, infatti, si raggiunge il paradossale. È vero che in questo paese la scienza economica è ancora appannaggio di un élite servizievole e corporativa a dimostrazione, come se ce ne fosse ancora bisogno, che l’economia politica è una vera e propria scienza del potere (quindi un sapere ai più irraggiungibile), tuttavia tale triste situazione non giustifica le falsità che ci vengono quotidianamente raccontate dalla schiera di cortigiani del governo, a partire dallo stesso Renzi.

Ci limitiamo solo a due esempi. A Che Tempo che fa, il capo del governo ha dichiarato: «Cancelliamo il precariato e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato la forma prevalente del lavoro». Glissiamo sul fatto che sarebbe stato meglio dire «aboliamo la precarietà» invece che il «precariato» (intendeva fisicamente?). Giusto proposito, ma assolutamente falso. Il nostro si riferisce alle collaborazioni, senza far volutamente cenno al fatto che oggi in Italia quasi il 70% dei contratti precari sono costituiti dal contratto a tempo determinato, proprio quella fattispecie che il Jobs Act atto I ha del tutto liberalizzato, con l’intenzione di fare di questo contratto il rapporto di lavoro prevalente in Italia.

Se veramente Renzi volesse abolire «il precariato», per prima cosa dovrebbe cancellare la prima parte del Jobs Act, che lui stesso ha promosso e imposto a tutti i costi con la Legge 78 firmata Poletti. Possibile che nessuno l’abbia fatto notare, a partire dai sindacati?
A Ballarò, invece, Renzi ha dichiarato che intende inserire il Tfr in busta paga: «Per uno che guadagna 1300 euro, vuol dire un altro centinaio di euro al mese». A parte il fatto che, come per gli 80 euro, ciò vale solo per il lavoro dipendente, nessuno ha sottolineato che il Tfr fa parte già del salario del lavoratore/trice. È come ottenere un aumento del salario netto attingendo allo stesso salario lordo, in particolare quella quota di salario differito che viene mensilmente accantonato per far fronte alla perdita del posto di lavoro. Oltre il danno, la beffa. Facilito ancor di più il licenziamento individuale e, in cambio di una manciata dei «tuoi» euro, ti tolgo una valvola di sicurezza. Una partita di giro, apparentemente a costo zero per lo Stato e per le imprese, in realtà assai costosa per le casse dell’Inps e soprattutto per le piccole imprese che utilizzano il tfr dei lavoratori come fonte di cash-flow per far fronte agli impegni di pagamento.

Notare che tutto ciò avviene in un contesto in cui ottenere prestiti bancari è alquanto difficile e in cui la liberalizzazione dei licenziamenti individuali è oramai cosa fatta, a partire dalla riforma Fornero. A dimostrazione che la discussione attuale sull’art. 18 è del tutto superata e che il polverone alzato ha ben altri scopi. E che le magnifiche aspettative di crescita dell’economia di Renzi si riducono ancora una volta ad accentuare la guerra tra poveri, con buona pace dei poteri forti.