I risultati delle legislative svedesi hanno confermato, anche se in modo meno drammatico di quanto temuto, che il ripiego identitario e la paura sono ormai diffusi in tutta Europa, non solo più all’est e al sud, ma anche al nord, non solo più nei paesi poveri ma anche in quelli ricchi e con forti tradizioni di solidarietà. A questa situazione che minaccia il futuro della Ue e potrebbe esplodere alle prossime elezioni europee (dal 23 al 26 maggio 2019), il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, cercherà di rispondere nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, mercoledì.
LO STESSO GIORNO, al Parlamento europeo ha luogo il voto sull’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati all’Ungheria, sotto accusa per il non rispetto dello stato di diritto, per la legge sull’asilo e quella battezzata «stop Soros» contro le ong. È la prima volta che il Parlamento europeo vota per l’applicazione dell’articolo 7 (la procedura contro l’Ungheria è iniziata il 17 maggio 2017), che può portare fino alla sospensione di alcuni diritti per lo stato implicato (la decisione finale sarà pero’ del Consiglio).
L’Ungheria di Viktor Orbán è stata la punta di lancia della sfida alla Commissione, soprattutto in materia di immigrazione. Juncker domani concentrerà il suo discorso proprio sull’immigrazione. Per rendere più incisivo l’intervento del presidente, il discorso sullo Stato dell’Unione sarà accompagnato dall’approvazione di vari progetti di legge.
Nel discorso sullo Stato dell’Unione, Juncker dovrebbe annunciare anche le misure che la Commissione intende prendere per garantire lo svolgimento delle elezioni europee, di fronte ai rischi di cyber-attacchi.
JUNCKER ARRIVA a fine mandato. Chi sarà il successore? Alcuni dirigenti hanno espresso dubbi sulla formula dello Spitzenkandidat, cioè la designazione del candidato alla presidenza della Commissione da parte dei vari gruppi politici prima delle elezioni. Emmanuel Macron è freddo, dopo che la sua proposta di liste transnazionali è stata bocciata (per l’opposizione di una parte del Ppe), tanto più che il partito del presidente, En Marche, non ha ancora stabilito quale sarà la sua collocazione (ieri il liberale Guy Verhofstadt, un pilatro dell’Europarlamento, ha offerto la sua collaborazione a Macron). Angela Merkel è meno entusiasta di questo sistema di quanto lo fosse nel 2014. Nel Ppe, in questi giorni, si è fatto avanti l’eurodeputato della Csu Manfred Weber (dal 2014 è capogruppo del Ppe).
Il Ppe deve risolvere la questione della relazione con il Fidezs di Orbán, che fa ancora parte del gruppo dei popolari (e in seguito dei rapporti con l’estrema destra di Le Pen e Salvini). «Aspettiamo il messaggio di Orbán» dice Weber, prima di decidere sulla posizione del gruppo Ppe, anche riguardo al voto di domani sull’articolo 7 contro l’Ungheria.