L’Architetto e il Territorio si fiutano da lontano, come storia d’amore, comincia lentamente.

L’Architetto, come Icaro, si cuce addosso le ali, spicca verso il cielo; volando sul Territorio fa larghi giri, cambiando prospettive, scendendo di quota con lentezza, con quella leggerezza che Calvino indica come “planare dall’alto sulle cose, senza macigni sul cuore”, per avvicinarsi sempre più all’obiettivo scelto in una casualità di seduzione dello sguardo che diventa destino.

A Terra, mette i panni di quella Malinconia che Dürer delinea come riflessione, introspezione, per diventare poi Filosofo con in mano compasso e squadre, quello tra i Tre che Giorgione dipinge immersi nel Paesaggio, l’unico che guarda al soggetto.

Il passo successivo, unire quello che dal territorio si è raccolto in volo, un Territorio che ha memoria, e in questa memoria nasconde un segreto: l’Architettura dovrebbe essere quel segreto che si rende visibile, tridimensionale, luogo, non lo è sempre. L’Arte lo è ancora.

L’arte svela quel segreto, ne riproduce il segno visibile in scala diversa, un segno che diventa superamento di un limite, la strada per andare oltre, produrre cultura, un nuovo paesaggio, una nuova visione della realtà che sia sintesi del passato e guida per il futuro.

Così capita che le cose non accadono mai per caso, fanno giri immensi e poi si incontrano, si guardano e si riconoscono. Si svelano.

Nel 2003 l’artista Michelangelo Pistoletto scrive il manifesto del Terzo Paradiso e ne disegna il simbolo, costituito da una riconfigurazione del segno matematico d’infinito: tra i due cerchi contigui, assunti a significato dei due poli opposti di natura e artificio, viene inserito un terzo cerchio centrale, a rappresentare il grembo generativo di una nuova umanità, ideale superamento del conflitto distruttivo in cui natura e artificio si ritrovano nell’attuale società. Il Terzo Paradiso è il nuovo mondo, il simbolo ne unisce la comunità umana.

Questo nuovo segno, vuole essere una grande opera collettiva e partecipata, da realizzare in luoghi diversi con materiali diversi che dialoghino con il luogo stesso, ne svelino quel segreto, in un’idea di riciclo e sostenibilità ambientale diffusi.

Così le città, indossano di volta in volta questo nuovo mondo, assumendo sempre significati diversi, porte che si aprono: nel 2005 il Terzo Paradiso viene presentato quale evento nell’ambito dalla 51a Biennale di Venezia attraverso la mostra “L’isola interiore: arte della sopravvivenza” a cura di Achille Bonito Oliva. Dal 2005 a oggi è diventato una grande oper-azione collettiva, grazie alla collaborazione tra il Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e Cittadellarte: il tema è stato declinato in happening a cui hanno partecipato migliaia di persone in molte città, per proporre un messaggio di rispetto verso la natura e gli spazi urbani, attraverso un coinvolgimento creativo che pone l’arte al centro della trasformazione sociale responsabile. Nel 2010 Michelangelo Pistoletto traccia il solco del “Terzo Paradiso” ad Assisi, segnando l’inizio dei lavori di restauro del Bosco di San Francesco, a cura del FAI.

Così nel 2018 arriva a Taranto, dove si è messa in atto una “reinterpretazione” del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, ospitata al Castello Aragonese, a cura di Green Routes con il sostegno di Fondazione con il Sud in collaborazione con MAS in occasione della MAS WEEK 2018 e realizzata dal collettivo LAS – Land Art Salento grazie al cofinanziamento di ANCE Taranto, un segno materico costruito con elementi naturali, canne intrecciate reperite in zona e lavorate dal collettivo, ponendosi come momento di co-progettazione con le comunità e le maestranze locali, che nell’opera hanno trovato un momento di scambio e condivisione di saperi e conoscenza, un simbolo che indica la strada di una rinascita necessaria per l’incremento della felicità interna lorda, della città e del suo territorio. Ma il Terzo Paradiso per Taranto è molto di più.

Canne intrecciate che riportano ad un’origine palustre, posizionate sul ciglio di quel Canale navigabile artificiale segno di un’industria un tempo attiva, forte come il ferro di cui è fatto quel Ponte girevole simbolo indiscusso della città. E non solo.

Canne, come lasciate lì da una mareggiata, come il Mare volesse parlare e svelarsi. Non un solo mare, ma ben tre. Così mettiamo i panni di Icaro e saliamo, seguendo l’istinto di quel suggerimento.

Lunghi giri dall’alto tenendoci ben lontani dal sole, memori dell’inganno che si nasconde dietro ogni impresa, scegliamo una prospettiva e planiamo: appaiono tre cerchi, il Mare grande e i due seni del Mare piccolo. Eccolo il segreto.

Taranto ha già il suo Terzo Paradiso, è il luogo d’eccellenza per una nuova umanità, un nuovo Umanesimo, quel Rinascimento che è carattere identitario italiano.

Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi – tornano le parole di Pistoletto – I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità.”

Ecco, Taranto si presenta emblema della dicotomia tra natura e artificio, e la sua origine, l’Isola Madre del centro storico è la compenetrazione, quella nuova via necessaria ad aprire il futuro, ad indicare il superamento di questa contraddizione.

Scendiamo, ci sediamo a riflettere vicino alle cataste di canniccio che cambiando prospettiva, da terra, non rendono visibile il simbolo, ma ci permettono di pensare al mare nostro suggeritore, liquido amniotico creativo.

Per cercare armonia, bellezza e relazioni in questo territorio proviamo a guardarlo come persona, a dargli anima, a dargli coscienza, a dargli identità, un Io e un Sè, componenti non totalmente indipendenti l’una dall’altro, né totalmente indipendenti dal contesto, sotto-sistemi che interagiscono in modo integrativo e complementare: l’industria sta alla città come Taranto sta all’industria, entrambe stanno sul territorio circostante. Il Sé rappresenta il riferimento per una nuova ricerca di senso, volta al recupero di motivi esistenziali rimossi per un’adeguata costruzione dell’Io, quel Sé inteso come ampliamento della coscienza che rappresenta il luogo da cui si attiva la creatività e da cui si sviluppano le possibilità del futuro. Il Sè è il territorio, l’Io è Taranto oggi, un Io non cosciente, un territorio non identitario, così com’è, da terra, non vede il futuro.

Per raggiungere l’identità, quella riconoscibilità tra abitanti e territorio, diventa necessario un processo di individuazione, esso avviene mediante la produzione di simboli che rimandano a qualcosa di fondamentalmente sconosciuto, di nascosto da svelare. Il simbolo non è un significato, ma un’azione che mantiene in tensione gli opposti, può essere un “daimon”, che non va confuso con l’idea di essere demoniaco che si ha dall’avvento del cristianesimo, ma dal verbo greco “daiomai”, che significa “spartire”, “distribuire”: il demone è colui che “distribuisce, o assegna, il destino”, da una parte e dall’altra, appunto del territorio: è come se la città avesse posto in essere nell’altra città, quella industriale, il proprio “daimon”.

La salvezza sta in ciò che unisce, ovvero l’Isola Madre, “grembo generativo della nuova umanità.”

A questo punto, svelato il segreto, vestiamo i panni del filosofo di Giorgione, ci riappropriamo del mestiere di Architetto e dall’Isola madre del centro storico di Taranto cominciamo la progettazione del Territorio che è tessuto sociale, vera Architettura a larga scala, “L’isola interiore: arte della sopravvivenza” come zattera. E poco lontano, in asse prospettica, confortati troviamo già chi prima di noi ha letto il segreto, ha svelato l’intuizione e l’ha resa architettura visibile, simbolo identitario della città di Taranto, quella Concattedrale di Giò Ponti che raccoglie tutti i segni, i colori e i simboli, facendosi Porta del Futuro, accesso al Paradiso.

Ma questa è un’altra storia da raccontare.