John Wick è livello successivo (ultimo?) dell’action movie post-moderno post-Matrix. Un transgenere che ha nel cinema di Hong Kong della seconda metà degli anni Ottanta e nella sintesi che ne ha operato Joel Silver i suoi punti di riferimento cardinali. Rispetto al primo episodio, essenziale come un teorema, il secondo capitolo rilancia. Con un incipit che si ricollega al primo episodio, il sequel inizia in tempo reale, come nella vita «vera», come se i tre anni trascorsi non fossero altro che una bolla di presente eterno (o eterno presente). Si scoprono nuovi dettagli che regolano il funzionamento della società degli assassini (pegni e oneri) mentre la sceneggiatura di Derek Kolstadt procede a un minimo di «jamesbondizzazione» di Wick. Se fosse possibile immaginare un ossimoro come «barocco astratto» – una contraddizione in termini – probabilmente John Wick – Capitolo 2 potrebbe rientrare nella categoria.

Reggendosi sui medesimi principi del capostipite ma ampliandone la mitologia come se essa fosse già condivisa, il film riesce nell’impresa di ridurre il mondo a immagine del suo set. Particolarmente evidente in tutta la parte ambientata a Roma, dove il film riesce nell’impresa di trasformare la capitale in un luogo mentale (cosa che non era riuscita a Zoolander 2).

Immaginando Roma come la passarella per eccellenza, fra catacombe e haute couture, incrostazioni risorgimentali e arte concettuale il film, operando una rimappatura della città, crea una sorprendente topografia mentale (una psico-topografia) nella quale le terme di Caracalla, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il Museo Centrale del Risorgimento, il Grand Hotel Plaza e gli Horti Sallustiani ricompongono l’immagine di una città mai vista.

E se la componente videoludica è ben evidente nella lunga sparatoria nelle catacombe e nei sotterranei (o nelle modalità con le quali si attivano i killer con un sms; inevitabile pensare a una versione digitale del Telefon siegeliano…), la reinvenzione del finale de La signora di Shanghai è davvero notevole. Che l’omicidio fosse una delle belle arti, ne era convinto già De Quincey. Ma nemmeno lo scrittore inglese avrebbe forse potuto immaginare una sparatoria in una pinacoteca dove gli schizzi di sangue inevitabilmente evocano Pollock. Con richiami alla mitologia di Matrix (la presenza di Fishburne-Morpheus), una scena madre con la Gerini degna di Tinto Brass e un Franco Nero ineffabile, John Wick – Capitolo 2 è un film complesso e gioioso; un vero film «d’autore» – post-autoriale.