Ne Il giorno senza fine, un vecchio racconto del 1967, lo scrittore J.C. Ballard immagina un mondo post-apocalittico che ha smesso di ruotare intorno al proprio asse. Ogni luogo della Terra è rimasto congelato in un orario specifico: «Londra 18:00» vive in un perenne pomeriggio mentre a Saigon è mezzanotte per sempre. Ballard prendeva spunto dalla scienza, almeno in parte. Che il mondo stia rallentando la sua rotazione è un fatto vero, dovuto all’attrito delle maree. I geologi sanno che 1,4 miliardi di anni fa un giorno durava 19 ore. Lo stesso meccanismo ha fermato la Luna, che ormai da molti milioni di anni ci mostra sempre la stessa faccia.
Lo scenario ballardiano è comunque ritenuto impossibile, perché secondo la legge di conservazione del momento angolare la Terra rallentando si allontanerà dal Sole. Perciò quando il tempo si fermerà saremo così lontani dalla nostra stella da essere tutti morti di freddo.

Non ci riguarda personalmente: ci vorranno altri duecento milioni di anni perché la giornata si allunghi fino a durare 25 ore. Per il momento, l’unica conseguenza sensibile del rallentamento è il cosiddetto «secondo intercalare»: gli scienziati ogni tanto sono costretti fermare per un secondo i 450 orologi atomici sparsi per il mondo che scandiscono il «Tempo coordinato universale» – lo standard di riferimento per tutte le telecomunicazioni – per sincronizzarli con la rotazione terrestre. È un po’ quello che facciamo con l’anno bisestile senza troppi problemi. Per gli informatici invece è un notevole casino perché dalla misura ufficiale del tempo dipendono innumerevoli servizi di comunicazione, tutti sincronizzati tra loro. Dal 1972 a oggi, i sistemisti hanno dovuto cambiare l’orario interno dei computer ben 27 volte, sperando che tutto andasse liscio. E spesso non è andata così: l’ultimo secondo intercalare, quello del 2017, ha mandato in tilt siti e reti con milioni di utenti. Peggio del Millennium Bug, per chi se lo ricorda ancora.

I tecnici detestano il secondo intercalare anche per la sua scarsa prevedibilità. Le turbolenze del nucleo liquido del pianeta starebbero infatti causando un’inedita accelerazione della rotazione terrestre. Gli scienziati stimano che a causa di questo fenomeno nel 2026 gli orologi dovranno essere spostati un secondo in avanti, anziché indietro, per la prima volta dal 1972. I sistemisti non l’hanno presa bene. Per evitare crisi di nervi, nel 2022 l’Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure ha deciso che dal 2035 il secondo intercalare sarà abbandonato per almeno un secolo. Se il tempo si sfaserà di qualche secondo, pazienza.

Come se la questione non fosse già abbastanza ingarbugliata, l’essere umano ci sta mettendo anche del suo. Lo ha fatto notare l’astronomo Duncan Carr Agnew dell’università della California in uno studio sul numero pasquale di Nature: il cambiamento climatico sta sfasando anche il tempo. Con lo scioglimento di una porzione importante dei ghiacci antartici e della Groenlandia, l’acqua di fusione si è spostata verso l’Equatore mentre i poli sono sempre più schiacciati. Analogamente a un pattinatore che allarga le braccia mentre piroetta, la maggiore massa d’acqua appoggiata sui fianchi del pianeta sta rallentando la rotazione terrestre di una quantità non trascurabile con inevitabili conseguenze sui cronometri ufficiali. Secondo Agnew, a causa del cambiamento climatico l’aggiustamento degli orologi atomici previsto per il 2026 dovrà essere rimandato al 2029. Gli informatici che devono tenere accesi i server probabilmente non ne possono più. I prossimi a bloccare le autostrade e a incollarsi alle opere d’arte potrebbero essere loro.