In Critica e Verità Roland Barthes segnala che: «ogni scrittura che non mente designa l’assenza del soggetto anziché i suoi attributi interiori». Quella di Giulia Caminito, allora, si può dire essere una scrittura che non finge. In un tempo in cui è diventato banale anche solo costatare che c’è una proliferazione di memoir e mal celate autobiografie, Un giorno verrà (Bompiani, pp. 239, euro 16) di Giulia Caminito è un romanzo storico: è già di per sé un’eccezione, considerata a maggior ragione l’età dell’autrice poco più che trentenne. Tale dato potrebbe porre, però, un altro ostacolo, non quello dell’autoreferenzialità, piuttosto una questione di gusto. Inutile negare che se molte persone scrivono libri che raccontano vicende contemporanee – di cui spesso sono le autrici e gli autori stessi i protagonisti – è perché c’è un pubblico di lettrici e lettori che attendono e desiderano quel genere di storie: immediate e soprattutto consolanti. Tutto ciò non può avvenire in un romanzo che racconta le vicissitudini di una famiglia disgraziata che vive in un paesino delle Marche ai primi del ’900, immersa nella povertà dei mezzadri della Marca, poi nella prima guerra mondiale, quindi nel preludio della seconda e infine angariata dalla febbre spagnola. Nessuna consolazione, no. Eppure, nessun impedimento alla lettura.

IN PRIMO LUOGO grazie alla lingua, allo stile. Per Caminito si può usare la definizione di prosa poetica, intesa come ricerca costante di immagini a completamento della descrizione dell’oggetto: «le disperazioni di Nicola erano tutte dentro di lui, gli altri crescevano fuori, lui si guardava la pancia e le mani trovandole sbagliate, mal fatte, le odiava come si odiano gli intrusi»; e ancora «Lupo andò davanti al prete con la determinazione dei tramonti, che ogni sera, non importa ciò che farai, torneranno e faranno notte». L’autrice riporta spesso le tragedie – che senza sosta sfiancano tutti i personaggi del romanzo – a una dimensione famigliare attraverso il ricorso a figure, a similitudini con oggetti della vita quotidiana, con il cibo, spesso con l’acqua dei fiumi e dei torrenti. In questo modo l’incombere della sciagura sulla famiglia Ceresa, sui contadini delle Marche, sulle sorelle del Monastero di Serra de’ Conti non suscita angoscia e non appesantisce la lettura, che infatti scorre e disseta, proprio come l’acqua, le pozze, i fiumi evocati nel libro.

POI CI SONO I PERSONAGGI, che come spesso accade coi bambini che sono stati beneamati e suscitano per questo più facilmente apprezzamento, destano forte empatia in lettrici e lettori: Lupo, certo, il suo stesso nome, la sua forza, quel suo modo di essere sempre affidabile, coerente come sono gli eroi; Nicola, suo fratello, e poi suor Clara.
Si tratta di una monaca, giunta bambina dal Sudan nelle Marche, che nel romanzo incarna la fede, sì, ma anche la potenza quando questa si accosta alla magia. In un libro come Un giorno verrà che pone le sue basi e ricerca i suoi confini nelle briglie del realismo, in quanto romanzo storico, Caminito riesce a inserire la figura eccedente di suor Clara, senza intaccare la verisimiglianza della personaggia, come evidente in questa sintesi della sua santità: «a nulla aveva mai fatto realmente l’abitudine, né ai freddi, né ai cibi, né agli odori, né alla lingua, né al modo di pettinarsi, o a quello di lavare il bucato, era rimasta lei, ma si era fatta martire». Infine l’erotismo, inaspettato, va detto, in un testo come questo. Lo troviamo, infatti, nascosto, con il risultato che, come tutte le volte che esso viene compresso e non represso, ne risulta potenziato. Basti dire che pervade le pagine del romanzo, senza che vi si trovi la descrizione di neanche una sola scena di sesso.

NON MANCANO, invece, i colpi di scena, a compimento di un intrigo ben costruito. Unico neo la ridondanza di alcuni, pochi passaggi, data dalla ricerca spasmodica di descrizioni che siano al contempo semplici, corpose e perfette. Ciò non toglie che i personaggi di Un giorno verrà entrino interi in quella che Wayne Booth chiama The Company We Keep: gli amici del nostro immaginario.