Un movimento politico si sta costruendo in Francia sul modello del tea party statunitense. Domenica, erano 80mila (per la polizia) e 500mila (per gli organizzatori) a Parigi, tra i 20mila e i 40mila a Lione a sfilare contro la “familifobia” presunta del “regime” socialista. Una protesta che si è coagulata attorno a dei fantasmi: contro un presunto insegnamento della “teoria di genere” che sarebbe introdotto nelle materne e nelle elementari, contro l’estensione del diritto alla procreazione medicalmente assistita (Pma) per le coppie di donne e l’introduzione dell’utero in affitto (Gpa) per le coppie di uomini nella nuova legge sulla famiglia in preparazione e sempre contro la legge sul matrimonio gay, già in vigore (e che ha permesso finora 7mila unioni) e anche contro la piccola riforma del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, che ha abolito la clausola che obbligava le donne a giustificare una situazione di “difficoltà”. In realtà, a scuola c’è un programma, per ora sperimentato in 600 classi, l’Abcd dell’eguaglianza, che intende sensibilizzare sulla permanenza degli stereotipi di genere e il governo ha annunciato ieri che non ci sarà nessuna legge sulla famiglia nel 2014, visto che le precisazioni che non ci sarebbero state né Pma né Gpa (che in Francia è proibita per tutti) nella nuova legge non erano servite a calmare gli animi. Ma la realtà non preoccupa cattolici integralisti, seguaci dell’”umorista” Dieudonné, il movimento anti matrimonio Printemps français, a cui si sono aggiunti gli anti-tasse e qualche organizzazione musulmana: tutti vanno in piazza attizzando la paura irrazionale che il governo di sinistra voglia “cambiare la civiltà”, sottrarre i bambini all’educazione dei genitori, distruggere la famiglia tradizionale. La destra resta molto prudente di fronte all’emergenza del Tea party alla francese. Nei cortei di domenica c’erano alcuni esponenti dell’Ump e del Fronte nazionale, ma i due partiti vanno con i piedi di piombo su questo terreno scivoloso.

Le due manifestazioni di domenica si sono concluse senza incidenti. Non era invece stato il caso la settimana prima. Il 26 gennaio, nel Dies irae organizzato dalle frange più estremiste, per la prima volta in Francia dall’Occupazione si sono sentiti slogan antisemiti violenti e il corteo è finito con scontri con la polizia e alcuni fermi. L’ex ministro della giustizia Robert Badinter, sottolineando che “è la prima volta dalla fine dell’Occupazione che si sente urlare nelle vie di Parigi: fuori gli ebrei!”, parla di “degenerazione del dibattito politico”. C’è difatti chi soffia sul fuoco e spinge ad esprimere in piazza la sfida verso Hollande. La folkoristica Frigide Barjot, che era stata tra gli organizzatori più attivi delle manifestazioni anti-matrimonio gay nella primavera scorsa, ha lasciato il posto a Ludovine de la Rochère, ex addetta stampa della Conferenza episcopale francese, a Béatrice Bourges, portavoce del Printemps français (un conglomerato di movimenti di estrema destra), a Farida Belghoul, che negli anni ’80 aveva partecipato alla Marche dei beurs per i diritti della seconda generazione di immigrati maghrebini e oggi diffonde la paura della “teoria di genere” a scuola, fino a personaggi ancora più inquietanti, come Alain Soral, ex del Pcf passato per il Fronte nazionale e che oggi si definisce “nazional-socialista” e dichiara di lottare contro il “complotto ebraico”, oltre ad essere il principale consigliere di Dieudonné. Secondo il ministro degli interni, Manuel Valls, “una destra conservatrice e reazionaria si è liberata, con l’opposizione al matrimonio per tutti ha decuplicato le sue forze”. Facendo leva sull’impopolarità del governo e di Hollande, navigando sul rifiuto dei partiti che si diffonde, il Tea Party alla francese ripesca l’ideologia degli anni della collaborazione. La destra classica è imbarazzata, il Fronte nazionale è ambiguo, anche se entrambi sognano di recuperare elettoralmente questa protesta. Il governo è come paralizzato e ha finito per rimandare la nuova legge sulla famiglia. Anche l’idea di organizzare una contro-manifestazione fa paura, per timore di essere meno numerosi in piazza dei reazionari, mentre il silenzio degli intellettuali è assordante.