Le doti migliori di improvvisatori vengono fuori quando c’è aria di jazz. Sulle immagini (che naturalmente nel cd si possono solo evocare con la fantasia) dei corti di Harry Smith, filmaker, artista visivo, etnografo sonoro, i solisti dell’Ensemble Dissonanzen trovano accenti di scioltezza e di spregiudicatezza free. Sono cinque solisti in una delle performances riunite nel box di cinque cd (Dissonanzen, die Schachtel) che esce nell’anno del ventennale della fondazione di questa impresa musicale napoletana, una factory in realtà.

Smith amava Dizzy Gillespie e Thelonious Monk, così alle due improvvisazioni collettive che aprono e chiudono l’album e alle improvvisazioni libere di ciascuno dei cinque strumentisti (Tommaso per il flautista Tommaso Rossi, Marco C. per il chitarrista Marco Cappelli, Claudio per il sassofonista Claudio Lugo, Marco S. per il trombettista Marco Sannini, Ciro per il pianista Ciro Longobardi) si alternano elaborazioni a cura di Sannini di brani come A Night in Tunisia, Blue Monk, Off Minor, Manteca, Monk’s Mood.

Tutto il box è dedicato all’attività dell’Ensemble Dissonanzen nel campo dell’improvvisazione in occasioni diverse nell’arco di tempo tra il 2004 e il 2009. Non è proprio il mestiere loro, dei musicisti di questo Ensemble, quello dell’improvvisazione. Almeno non di tutti. Lugo e Cappelli sono forse i più sperimentati in questo modo del fare musica, esaltato e misconosciuto nel corso dei secoli ventesimo e ventunesimo. Anche loro due, come tutti, hanno una ricca formazione accademica, ma hanno operato con maggiore continuità fuori dai confini (sempre più incerti, per fortuna) della musica «colta», contemporanea e non. Tutti i Dissonanti, però, sono soggetti multiformi e prestano quindi una speciale attenzione all’improvvisazione.

Nel box c’è l’improvvisazione e c’è la scrittura. Come sempre o quasi sempre nelle opere della musica non etichettabile. Pura free improvisation si trova, forse, soltanto nel cd intitolato Musica porosa.

Una miracolosa suite in sette movimenti, da Porosità I a Porosità VII, nella quale un’altra formazione dell’Ensemble (Rossi, Lugo, Longobardi più il chitarrista Andrea Lanza e il tastierista Francesco D’Errico) suona assieme a Markus Stockhausen, tromba, e Tara Bouman, clarinetti. Stockhausen, ispiratissimo, ha la parte principale, ma sono un godimento intenso – immediato e di lunga gittata, per far contenti gli austeri neo-lacaniani – i dialoghi, le interiezioni, i rimandi in esplorazione della «porosità» che sta nel terreno su cui è costruita Napoli e sta nella natura di questa musica attraversabile da ogni lato, aperta su tutti i lati.

Scrittura con i gesti, più processuale che istantanea, è quella del cd in cui ben quattro diversi organici riuniti dall’Ensemble Dissonanzen elaborano musiche di qualche impronta mistica sotto la conduction di Adam Rudolph, compositore americano. Il box è completato da due altre performances ben curiose.

Una, Man Ray Suite, è costituita dalle improvvisazioni assai preparate di Rossi, Lugo, Cappelli e Longobardi sullo scorrere di tre corti di Man Ray (che, nuovamente, dobbiamo immaginare), intercalate, anzi riferite come a un nebuloso punto di partenza salottiero, da famosi brani di Erik Satie. Lavoro pregevole ma un pochino faticoso. L’altra, col titolo Teatrini napoletani, è tutta firmata Claudio Lugo. Ed entra in scena, voluttuosa ed inquietante, la vocalità. Con le cantanti Roberta Andalò e Daniela Del Monaco e il recitante Enzo Salomone. Entrano in scena anche gli archi, anzitutto il violoncello di Marco Vitali, il fondatore di Dissonanzen.