Appena retrocessa in terza serie nel calcio, Vicenza domenica torna alle urne: in 80.826 scelgono fra dieci aspiranti sindaci e 17 liste per il nuovo consiglio comunale. La città ha ancora negli occhi l’incubo dell’onda di piena del Bacchiglione: 5,80 metri a ponte degli Angeli in pieno centro storico con 285 metri cubi al secondo d’acqua. Letteralmente sfiorata la replica della disastrosa alluvione dell’autunno 2010.

Scandisce Liliana Zaltron, candidata sindaco del M5S: «Abbiamo le sirene per dare l’allarme, come in guerra. Ma il nemico non è il fiume. È la politica dei partiti che negli ultimi mesi ci ha abituato a un muro contro muro tra Comune e Regione. In compenso vanno avanti senza problemi i lavori al Dal Molin a nord e a Borgo Berga a sud che hanno aggravato la situazione, impermeabilizzando ulteriormente il territorio».

Betoniere, gru e cantieri: il metro cubo di cemento come unità di misura dello “sviluppo”. E’ questo il vero tallone d’Achille della «governabilità democratica» in Veneto. L’inossidabile doroteismo che diluisce la melassa politica negli interessi di lobby, banche e “cupole” trasversali. Vicenza rappresenta il laboratorio che sintetizza il buon governo a tutto campo, la centralità del «ciclo del mattone», l’inerzia provinciale che si fa sistema.

Achille Variati ambisce alla conferma fin dal primo turno. Classe 1953, figlio di un artigiano e di una casalinga, laurea in matematica, assunto subito dalla Banca Cattolica del Veneto, a 30 anni segretario cittadino della Dc di Mariano Rumor e già nel 1990 sindaco a furor di preferenze. Radici che non tradirà mai, passando attraverso Ppi e Margherita in tre mandati da consigliere regionale culminati come capogruppo del neonato Pd. Nel 2008, Variati torna nella “sua” Vicenza e dalla piazza del santuario di monte Berico lancia la sfida per palazzo Trissino: vince con il 50,4% dei voti al ballottaggio. Oggi è il sindaco “civico” più che democrat, un po’ renziano un po’ sussidiario, molto abile nel ruminare gli avversari e metabolizzare la lezione trentina di Lorenzo Dallai.

Il paradosso di Achille? Corre più veloce di ogni consociativismo. Un questore, il grillino “ascaro”, l’ex capogruppo Pdl: tutti arruolati. Del resto, a rottamare la ditta di Bersani ci ha già pensato la vicesindaco Alessandra Moretti…

Così nel sondaggio pubblicato dal quotidiano degli industriali, Variati all’inizio della campagna elettorale volava al 45%, con il centrodestra staccato di 10 punti e il M5S a distanza di cannocchiale. La sinistra (balcanizzata in tre liste) rischia di restare fuori dal consiglio comunale. L’unico grattacapo resta la gestione dell’Aim, holding municipale con problemi di bilancio, mentre l’unico vero «partito» di Vicenza è quello della Banca Popolare che festeggia i 150 anni di vero governo della città.

Maurizio Franzina, fedelissimo di Berlusconi, era il capogruppo dell’opposizione. Inflessibile: tre anni fa denunciava l’inciucio post-elettorale tra Variati e l’europarlamentare Pdl Lia Sartori. «Tra lei e il sindaco di centrosinistra c’è stata connivenza. Tra loro esiste un filo rosso, che diventa negativo quando serve a bloccare l’azione di controllo dell’opposizione. Le vicende del Pat sono un caso emblematico» tuonava Franzina. Oggi è il responsabile tecnico della campagna di Variati, a beneficio del «teatrino politico» denunciato dai grillini. «Al potere sempre gli stessi personaggi: finti nemici, riciclati in eterno».

Ma lo scouting di Variati non si limita al centrodestra: a un mese dal voto pesca con successo nel casting di Grillo. A fine aprile ha garantito un posto in lista al “dissidente” Enrico Britti, 35 anni, impiegato contabile; uscito dal M5S a febbraio. Era il responsabile dei banchetti, adesso è una stella che brilla nella galassia del sindaco. «Non condividevo linea, scelte e clima. E poi il bilancio comunale è virtuoso: Variati ha dimostrato di saper tenere i conti in ordine», assicura Britti alla conferenza stampa di presentazione.

Precede di poco l’embedded Dario Rotondi, 65 anni, questore di Vicenza fino al 2012. Una fama come uomo del dialogo, «anticomunista antiberlusconiano e antifascista», il perfetto assessore alla sicurezza.
Quel che resta della sinistra fa ufficialmente harakiri. Tre candidati (Valentina Dovigo, Sel; Guido Zentile, Federazione della sinistra; Raffaele Gianpiccolo, Alternativa comunista). Gli scranni in Comune si ridurranno da 40 a 32, e l’exploit (quasi 5%) dell’elezione di Cinzia Bottene sull’onda del movimento NoDalMolin appare un ricordo sbiadito. Anche la Lega non se la passa bene. Manuela Dal Lago, ex presidente della Provincia e “saggia” nell’immediato dopo-Bossi, guida la coalizione di centrodestra ma con il Carroccio precipitato all’8% dei consensi alle politiche.

Lontano dai riflettori, la Vicenza che conta (soldi): si dondola fra spritz e coca, nei centri commerciali o nei salotti buoni. L’alluvione ha lasciato il segno terrificante della cementificazione selvaggia. Non preoccupa il “caso Aim”. A scandagliare costi e gestione della controllata del Comune è di nuovo Liliana Zaltron: «Mentre l’azienda vanta debiti per 317 milioni, quasi 500 mila euro sono stati assegnati all’amministratore unico Paolo Colla». Il diretto interessato fa prontamente sapere di aver già replicato ad «accuse infondate e strumentali» con due querele alla grillina.

Tutti contenti in fila nei padiglioni della Fiera, invece, i 3.483 soci (con 3.156 deleghe) della Banca Popolare: all’epoca della crisi nera, vanta un utile netto di 100 milioni con il presidente Gianni Zonin che punta a celebrare l’anniversario del 2016 con lo storico traguardo di 100 mila azionisti. La cassaforte è la certezza di Vicenza, abituata a guadagnarsi sempre un futuro da Vandea del Nord Est. In fin dei conti, basta pregare la madonna di monte Berico e lasciar amministrare la città al prode Achille, con lo scudocrociato resuscitato meglio di Enrico Letta.