«Più di una volta ho avuto occasione di dichiarare la mia simpatia, anzi la mia decisa preferenza, per le mostre piccole, raccolte, organiche». Fa pensare a queste parole di Giuliano Briganti la mostra di Giuseppe Caccavale allestita presso la Pinacoteca Metropolitana di Bari. Si tratta, infatti, di un’esposizione di esigue dimensioni che ruota intorno alla scultura Il Riposo di Raffaele Belliazzi (1875).
Questa frugalità espositiva raccoglie il frutto di circa 17 anni di ricerca intorno all’opera dello scultore napoletano. Scoperta (casualmente) dall’artista durante la sua prima visita nel museo barese, la grande terracotta raffigurante un pastorello dormiente ha finito per assumere ai suoi occhi un ruolo totemico.

TUTTAVIA – è bene sgomberare il campo da equivoci – l’incontro dai tratti epifanici con la scultura di Belliazzi non ha costituito motivo per un epigonico omaggio. Qui l’incontro non può dirsi neppure un dialogo a distanza ma semmai finisce per iscriversi nell’attitudine – tipica del percorso di Caccavale – a ripensare a modelli del secolo XIX spesso misconosciuti o comunque deliberatamente lontani dal canone sancito dalla storiografia più à la page. La scelta della scultura di Belliazzi ha rappresentato per l’artista di Afragola un grande territorio d’indagine intorno al problema incistato nel rapporto uomo-natura (così caro al nostro Ottocento).

EVITANDO consumati cedimenti ecologistici, l’artista ha fatto i conti con l’universo di un altro maestro. Se in fin dei conti, l’arte (anche la più aderente al vero) si nutre di altra arte, Caccavale ne ha mostrato una delle possibilità, moltiplicando la scultura in plurime declinazioni, palesandone volti inattesi attraverso l’uso di molteplici tecniche: dai pastelli, alla matita sino al buon fresco. Ma questa tensione a sperimentare tecniche diverse non deve sbrigativamente liquidarsi come esercizio di virtuosismo ma semmai essa va intesa quale progressiva rivelazione dei significati – anche emotivi – contenuti nel modello.

L’OPERA DI BELLIAZZI, sembra dirci il nostro artista, contiene in sé un sorprendente sentimento del creato ma il torpore del pastorello è anche sentimento della morte: il giovincello dormiente rinvia, infatti, al tema del Cristo deposto. E però questa struggente ambiguità pare evitare ogni nota dolente, preferendo accordi cromatici lievi come un refolo di vento. La levità – eviteremmo l’ormai logoro «leggerezza» – costituisce una cifra tipica del linguaggio di Caccavale che gli viene non solo dalla frequentazione di certo Ottocento ma anche dall’educazione avvenuta a contatto con Gianni Pisani, l’artista napoletano capace di giocare giustappunto con il tema della propria dipartita. D’altra parte, quest’attitudine alla ricerca di lontane parentele, di maestri distanti nel tempo è anche un tentativo per riannodare i fili del rapporto uomo-natura-arte, che poi è il cuore stesso del processo creativo.

La mostra: «1875 2005 2023. Il riposo Raffaele Belliazzi Giuseppe Caccavale», a cura di Chiara Bertola con un «conversario» a cura di Marilena Di Tursi è visibile presso la Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto di Bari fino al 31 gennaio 2024.