Luoghi di sapere e di civiltà, prime vittime dell’austerità e dell’oscurantismo, ieri come oggi, le biblioteche sono veri e propri organismi: dotate di vita autonoma, talora possono dissolversi senza lasciar traccia. I libri, si sa, non sono oggetti silenziosi: vivono dentro e fuori di noi, li possediamo e ci spossessano di noi stessi, rivivono nelle nostre esistenze e dentro altri libri, somigliano più a un fatto dell’immaginazione che a una somma di cose vere, colmano solitudini e riparano dalle moltitudini, schiudono infiniti sempre nuovi.
Di storie di libri e biblioteche se ne potrebbero raccontare a migliaia. Un’ampia e vivace raccolta di aneddoti e notizie si può leggere nel catalogo (per sua natura selettivo) di Stuart Kells (La biblioteca Un catalogo di meraviglie (trad. di Laura Serra, Mondadori, pp. 306, € 22,00): dalla «biblioteca senza libri» (la tradizione orale) alle piccole e grandi raccolte librarie (su tutte quella celeberrima di Alessandria); dalle plurime forme di vita del libro (rotolo di papiro, codice, stampa a caratteri mobili, moderne tecnologie digitali) alle sue modalità di fruizione, conservazione e tutela; dalle clamorose dispersioni di collezioni librarie alle fatali distruzioni di intere biblioteche. E inevitabilmente è anche un catalogo di fitta aneddotica di varia umanità: inguaribili bibliofili, generosi collezionisti, scaltri librai, eccentrici bibliotecari, ai quali si aggiunge un variegato sottobosco di loschi figuri che si muovono con disinvoltura tra furti, saccheggi e traffici illeciti (è storia antica quanto tristemente recente).
Delle molte biblioteche di cui ripercorre la storia, Kells dedica alcune pagine a quella meravigliosa come poche, eppur così poco nota, di Fernando Colombo (1488-1539), hijo natural dello scopritore del Nuovo Mondo, e oggetto di nuovi e recenti studi. Alla vicenda umana e intellettuale di questo singolare personaggio, che a soli trentatré anni riuscì a mettere insieme una delle più grandi biblioteche private del tempo, è interamente dedicato Il catalogo dei libri naufragati Il figlio di Cristoforo Colombo e la ricerca della biblioteca universale di Edward Wilson-Lee (trad. di Susanna Bourlot, Bollati Boringhieri, pp. 340, € 30,00).
L’eredità paterna non fu leggera né facile per Fernando. Oltre al poco e nulla che materialmente ottenne (a parte qualche rendita, tutti i beni terreni passarono al figlio legittimo Diego), di Cristoforo conservò lo spirito e la vocazione alla ricerca, la sete di conoscenza e la curiosità intransitiva della scoperta. Non seguì tuttavia le orme del venerato padre, pur avendolo accompagnato, ancora tredicenne, nel suo quarto viaggio nelle Americhe. Esploratore a suo modo, il giovane Colombo prediligeva solcare i vasti oceani di inchiostro e navigare per isole di carta, si ingegnava a tracciare nuove liste di parole (a cui dava forma di dizionari) e di libri (che registrava sotto specie di cataloghi), disegnando nuove geografie del collezionismo librario in un territorio ancora vergine – quanto almeno quello (ri)trovato dal padre – e tutto da colonizzare: il libro a stampa. Al pari di Cristoforo, Fernando faticò non poco a raccogliere e classificare il sapere umano, in migliaia di stampe e innumerevoli volumi, e affrontò lunghi viaggi nel Vecchio Mondo che gli consentirono di conoscere molte biblioteche e collezioni, numerosi intellettuali e stampatori, di setacciare le grandi piazze europee del nuovo commercio librario e, soprattutto, di acquistare senza sosta libri su libri.
Sulle rive del Guadalquivir a Siviglia edificò la sua biblioteca. Nel suo itinerante e visionario costituirsi, la collezione di Fernando raggiunse la cifra strabiliante di oltre 15.000 esemplari, la gran parte dei quali è stata cancellata da secoli di incuria e di ingiurie (poco meno di cinquemila quelli che si conservano tuttora in un’ala della cattedrale sivigliana: è la biblioteca Colombina). Un lascito inestimabile, una testimonianza preziosa della cultura rinascimentale e della storia del libro nei suoi primi decenni di vita, ma anche una mappa biografica dello stesso Fernando, che ebbe cura di annotare su ogni esemplare le coordinate essenziali (data, luogo e prezzo di acquisto) e qualche occasionale notizia di corredo (tasso di cambio, luogo di lettura, eventuale conoscenza dell’autore del libro).
La biblioteca del giovane Colombo ambiva a essere universale (raccogliere tutti i libri stampati, di qualsiasi argomento, fuori e dentro la cristianità) e per non soccombere a questa mira di universalità si dotò di strumenti atti a organizzare quell’universo: anticipando i tempi e precorrendo moderni sistemi catalografici (anche quello a schede, ancora di là da venire), allestì registri e indici di vario genere (per autori, per discipline, per sintesi dei contenuti, per argomenti). Molti di questi strumenti si conservano tuttora. Il più affascinante è quello che ha offerto il titolo a Edward Wilson-Lee: il Memorial de los libros naufragados. Vi sono puntualmente registrati i 1637 libri che Fernando acquistò a Venezia e di cui tuttavia neppure uno giunse in Spagna: affondarono tutti nella baia di Napoli con la nave che li trasportava.
E perduta è altresì la versione originale spagnola dell’opera di Fernando più nota, la biografia di quel padre famoso, le Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, stampate a Venezia in traduzione italiana quando l’autore era morto ormai da trent’anni. Dobbiamo a queste Historie, costruite sui ricordi e sui perduti diari paterni, l’immagine eroica di Cristoforo e la visione provvidenziale delle sue scoperte, secondo una narrazione che procede per revisioni e che all’assenza di dati e ai vuoti della memoria oppone la forza della parola e le immagini della tradizione antica (la scena del primo avvistamento della terraferma da parte di Colombo, per esempio, è debitrice di alcune pagine del Romanzo di Alessandro).
Nella formazione di Fernando i classici furono anche formidabili strumenti di conoscenza del presente: la lista di quelli ricordati è lunga (Omero, Esiodo, Aristotele, Cicerone, Lucrezio, Orazio, Ovidio, Tacito, Svetonio, Plinio, Plutarco, Apuleio…) e può essere ancora ampliata. Nel verboso testamento con cui si proponeva di preservare la sua biblioteca, il giovane Colombo dispose che accanto alla porta di accesso venissero incisi quattro versi. Forse ispirati a quella marea di libri che tipografi senza scrupoli e interessati al profitto riversavano ormai sul mercato, questi versi dovevano valere da monito perenne e forse pure da riscatto personale: «Il saggio non si interessi all’opinione dominante / con tal facilità cambia infatti idea la gente / che ciò che ieri butta reputandolo un orrore / oggi ripensandoci stima invece di gran valore». È il caso di notare qui, perché rimasto finora inosservato, che questi versi costituiscono un riecheggiamento di un epigramma che la tradizione medievale (Fozio, Bibl. 128) attribuiva a Luciano di Samosata (II sec. d.C.) e che Fernando poteva senz’altro leggere nelle edizioni a stampa dell’opera di questo retore. Quale più qualificato custode della sua biblioteca e quale miglior compagno d’ultimo viaggio poteva scegliersi il giovane Colombo se non quel visionario di Luciano?