Nel quartiere di Bomonti a Istanbul l’esperimento della fabbrica tessile Kazova sembra dare una speranza inedita agli operai e ai lavoratori turchi. Il sogno di creare una cooperativa di operai, una fabbrica dal basso che produca tessile di qualità si è trasformato ormai in una realtà che va avanti da oltre due anni.

In questa smania pre-elettorale che attraversa senza freni la Turchia in lungo e in largo, i concerti nella fabbrica occupata, le visite ufficiali delle delegazioni del partito di sinistra filo-kurdo (Hdp) e del suo leader, Selahattin Demirtas, suonano come una possibilità senza precedenti per ridare voce a lavoratori e disoccupati nella Turchia degli islamisti moderati di Erdogan.

«L’occupazione della Kazova è iniziata due mesi prima delle proteste di Gezi Park del 2013», ci spiega Annalena Di Giovanni, ricercatrice dell’Università di Cambridge e parte del movimento Ozgur Kazova (Kazova libera).

«Nel febbraio 2013 i proprietari della fabbrica tessile hanno dichiarato bancarotta. La maggioranza dei lavoratori si è subito arresa all’evidenza e ha lasciato il lavoro senza percepire una liquidazione», prosegue la ricercatrice italiana che ormai passa le sue giornate in fabbrica tra visite di attivisti e politici. Gli operai che hanno intrapreso questa lotta senza precedenti sono stati accusati dai proprietari della fabbrica di aver «rubato e danneggiato i macchinari».

«Dall’occupazione passiva siamo passati all’idea di produrre di nuovo. Per un anno gli operai hanno lavorato all’acquisto, con una colletta enorme per il riscatto delle macchine, e alla rimessa in opera dei macchinari. È stato un momento incredibile. Fino ad allora ogni lavoratore ignorava il lavoro dell’altro nella catena di montaggio e nella gestione delle vendite. Hanno invece lentamente iniziato a conoscere il processo di produzione», prosegue.

A questo punto è iniziata la vera opera di politicizzazione dei lavoratori a cui si sono aggiunti network di attivisti che si stanno occupando della gestione della fabbrica e un collettivo di artisti militanti. «Lo scopo è di mantenere bassi i prezzi e alta la qualità dei prodotti», ripetono i lavoratori che ormai passano le loro giornate in fabbrica senza seguire orari stabiliti.

Eppure la scommessa più interessante della Kazova è di sfidare la scarsa rappresentanza sindacale dei lavoratori turchi. Le sigle sindacali si fermano spesso alla mediazione nella contrattazione collettiva e hanno uno scarsissimo margine di azione.

«L’unico sindacato che si è mostrato interessato alla cooperativa è la Confederazione dei sindacati rivoluzionari (Disc). Eppure neppure loro possono entrare in fabbrica per i meccanismi della legge turca che impedisce l’ingresso ai sindacalisti nelle fabbriche dove non possono contare su oltre il 50% dei lavoratori iscritti». Nonostante questo, il Disc fornisce consulenza legale alla Kazova ma non può andare davvero oltre.

Nello sciopero dei metalmeccanici dello scorso gennaio, il Disc ha ottenuto le autorizzazioni per lo sciopero nelle fabbriche turche controllate ma nel momento in cui i lavoratori hanno smesso di lavorare, il governo del premier Ahmet Davotoglu ha bloccato lo sciopero.

Lo scorso 14 maggio la produzione della fabbrica automobilistica Oyak-Renault di Bursa è stata interrotta per le proteste degli operai, che si sono rifiutati di lavorare per protestare contro gli stipendi bassi e le pessime condizioni lavorative. Il giorno dopo si sono associati alla protesta gli operai della Fiat Tofas che ha temporaneamente fermato la produzione.

E così la presenza di Hdp alla Kazova rivela il volto marxista, vicino ai lavoratori del partito filo-kurdo, almeno nelle sue componenti urbane. Il partito di Demirtas a Istanbul, nonostante la sua nascita risalga al 2006, ha trovato linfa nei congressi locali prodotti dai Forum di quartiere, nati durante le proteste di Gezi. Quando la piazza è stata sgomberata brutalmente dalla polizia, nei parchi dei quartieri della capitale turca sono proseguiti senza sosta i dibattiti politici contro il mefitico sistema dei partiti. Eppure anche la sinistra turca è frammentata e così l’Associazione dei lavoratori rivoluzionari (Dih, parte del Fronte marxista Dhck) ha subito cercato di mettere il suo cappello sugli operai della Kazova e da tre mesi esercita pressioni perché cedano le macchine e chiudano.

Dhck viene per­ce­pito dai movi­menti filo-kurdi come sotto il con­trollo dei ser­vizi segreti tur­chi che avreb­bero voluto spaz­zare via un giu­dice sco­modo, Mehmet Selim Kiraz, ucciso lo scorso 31 marzo, quando stava per rive­lare la lista dei poli­ziotti coin­volti nella repres­sione di Gezi e nell’uccisione del gio­vane atti­vi­sta Ber­kin Elvan, morto durante le con­te­sta­zioni del 2013.