Nella lunga lettera pubblicata dal Corriere della Sera di ieri, Giorgia Meloni scrive che «…Stiamo dalla parte della libertà e della democrazia, senza se e senza ma…». Mettiamo il caso, ma simile assicurazione vale anche per la Rai?

Se così fosse, e sarebbe certamente augurabile, perché non si smentisce la chiacchiera insistente che indica ormai imminente l’assalto al servizio pubblico? Girano come in una permanente gara di gossip nomi di nuovi direttori, si leggono le tabelle sulle presenze politiche nei telegiornali e – con l’eccezione del Tg3- la voce di governo e maggioranza parla a reti unificate. Si discetta del cambio dell’amministratore delegato Carlo Fuortes.

Quest’ultimo può stare simpatico o meno, ma va ricordato che la pur brutta legge n.220 del dicembre 2015 non prevede il cosiddetto spoil system del vertice in base al susseguirsi dei colori politici. L’Ad rimane in carica fino alla conclusione del mandato e non può essere rimosso se non con un trasparente voto di sfiducia del consiglio di amministrazione.

Per di più, con scarso senso del ridicolo, si evocano vari enti lirico-sinfonici come una sorta di refugium peccatorum, per offrire un altro distintivo a chi dovesse essere ricambiato. Sia chiaro, dunque, che senza una esplicita decisione dell’organo competente si supererebbero i confini della legalità. Essere dalla parte della democrazia significa rispettare innanzitutto leggi e regole.

Tra l’altro, è ben curioso che ancora non si sia sentita la voce della commissione parlamentare di vigilanza, finalmente insediatasi dopo un poco glorioso periodo di trattative sfociate nel grottesco aumento del numero dei componenti, pur dopo il taglio dei parlamentari.

La girandola dei nomi è una sequenza di un meccanismo mai sopito nella Rai. Il fenomeno della lottizzazione è generale.

Tuttavia, nell’azienda radiotelevisiva simile patologia costituisce una sorta di meccanismo di organizzazione, un elemento fisiologico.

Ecco perché è indifferibile una riforma che affidi la Rai all’indirizzo e al controllo di un’autonoma Fondazione, recidendo il filo con il potere esecutivo e i partiti. Questa è la prova cui è atteso il governo, per dimostrare qual è la densità del pluralismo che ne guida l’azione.

Insomma, se davvero si vuole evitare che il servizio pubblico si avviti in una crisi pericolosa, si faccia una moratoria sugli organigrammi, per varare prima una normativa di salvaguardia dell’indipendenza dell’apparato.

Non per caso le organizzazioni sindacali hanno proclamato uno sciopero per il prossimo 26 maggio, essendo precaria la situazione economica e strutturale. Il conto economico licenziato qualche giorno fa sottolinea una sofferenza strategica, dovuta anche al calo dei proventi della pubblicità e all’incertezza sul futuro del canone di abbonamento. Manca ancora, poi, la stipula del Contratto di servizio. L’amministratore delegato ha chiarito che, in tale quadro così incerto, non intende apporre la firma ad atti impegnativi. Il risultato si vede nella programmazione ripetitiva e stantia e non definita dopo la scadenza del prossimo 31 agosto. Per intenderci, i palinsesti autunnali non ci sono e a settembre la Rai potrebbe essere costretta a trasmettere il monoscopio, come agli albori.

Non sembri una provocazione, visto che è persino tornato il pur eccellente Commissario Montalbano, le cui repliche ormai non si contano.

L’offerta informativa è omologata, salvo eccezioni, e il flusso si muove stancamente, senza novità. L’insopportabile collocazione della prima serata, che inizia tardi e si dilata fino alle ore piccole, è il segno di un declino. Nelle epoche migliori era proprio la seconda serata il luogo adibito alle sperimentazioni di linguaggi ed estetiche meno conformi al modello dominante.

Invece di passare il tempo ad attaccare le poche trasmissioni coraggiose, come Report, l’universo politico e parlamentare rimetta in agenda il vasto capitolo della comunicazione, a cominciare dal ruolo della principale azienda culturale italiana. Qualsiasi discorso sulle prospettive italiane nell’industria dei contenuti passa da qui.