Abdel Latif ha 26 anni, è originario di Kebili nel sud della Tunisia e il 28 novembre scorso è morto all’ospedale San Camillo di Roma in circostanze ancora da chiarire. Della sua storia personale sappiamo ancora poco: arrivato a Lampedusa a fine settembre, ha passato dieci giorni in una nave quarantena ad Augusta prima di essere trasferito al Cpr di Ponte Galeria.

Alessandro Capriccioli, consigliere regionale di +Europa Radicali, insieme al Garante delle persone private della libertà della Regione Lazio Stefano Anastasia ha effettuato ieri una visita ispettiva al Centro di permanenza per i rimpatri e ha potuto visionare anche i documenti sanitari.

«ABDEL LATIF ARRIVA AL CPR previa certificazione dell’idoneità della vita in comune, un certificato che serve per dire che la persona è idonea a essere messa in una struttura del genere – è la ricostruzione che Capriccioli fa al manifesto -. Qui il personale medico si accorge che il ragazzo ha un problema psichiatrico a cui segue una prima terapia prescritta da uno psichiatra della Asl. Passano alcuni giorni e questa volta lo psichiatra della Asl richiede che la seconda valutazione venga effettuata mediante ricovero ospedaliero. Latif arriva così in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale Grassi il 23 novembre, dove passa due giorni prima di essere trasferito al reparto psichiatrico del San Camillo. Il 26enne ha subito misure di contenzione il 25, 26 e 27 novembre, però non è specificato per quanto tempo. Per quanto si capisce dalla documentazione potrebbe anche essere continuativa, non si sa».

Dal Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria arriva anche un’altra notizia: Abdel Latif non mostrava segni di aggressività nei confronti delle altre persone presenti al Cpr e non era considerato un soggetto pericoloso. Nelle annotazioni presenti all’interno della contenzione, si cita l’aggressività come uno degli elementi che hanno reso necessario questo tipo di intervento. Al momento è da verificare se il 26enne avesse presentato o meno domanda di protezione internazionale durante il suo periodo in Italia.

A UNA VICENDA che già di per sé presenta diversi punti di domanda, si aggiunge la chiamata del consolato tunisino alla famiglia di Latif per annunciare la morte del ragazzo, avvenuta la mattina del 3 dicembre, quasi una settimana dopo il decesso. Uno squarcio nella vita dei genitori e dei suoi parenti più stretti per una persona che fino a quel momento non aveva mai dato segni di particolari problemi fisici che potessero portare, secondo i familiari, a una morte prematura.

«Ho solo le urla della madre al telefono», sono le parole del deputato tunisino Majdi Karbai (Attayar), da sempre attivo sul tema migratorio e contattato da un cugino di Latif una volta appresa la notizia. «Quando ha chiamato mi ha riferito del consolato e del fatto che si trattasse di morte naturale. Il ragazzo è uno sportivo e non soffre di malattie croniche. È una storia che mi ha stupito molto», prosegue Karbai che ha già segnalato il caso al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e alla campagna «LasciateCIEntrare».

NON È UN CASO che Abdel Latif si trovasse al Cpr di Ponte Galeria. La Tunisia è il primo paese per i rimpatri dall’Italia. Una procedura che avviene attraverso pratiche chiare e ben definite dopo il riconoscimento consolare all’aeroporto di Palermo e un periodo di fermo amministrativo in uno dei centri di permanenza per il rimpatrio. Un processo che si era fermato durante l’emergenza sanitaria e che è ripreso con forza dopo l’incontro dell’agosto 2020 dei ministri Di Maio e Lamorgese in Tunisia con il presidente della Repubblica Kais Saied e l’allora primo ministro Hichem Mechichi.
A seguito di quell’incontro venne firmato un accordo di 8 milioni di euro tra i due ministeri degli Esteri per la manutenzione ordinaria di sei motovedette già in possesso della guardia costiera tunisina, in cambio del ripristino delle procedure di rimpatrio.

DA AGOSTO A DICEMBRE 2020 i rimpatri sono stati oltre 2mila, mentre da gennaio 2021 a novembre dello stesso anno sono stati più di 1600. Secondo i dati forniti dal Dipartimento della pubblica sicurezza elaborati dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sempre nel 2021 meno del 50% delle persone transitate nei Cpr è stata effettivamente rimpatriata, la maggior parte di queste (più del 70%) era di origine tunisina.

Il deputato Majdi Karbai il 30 novembre scorso ha riportato un cospicuo aumento dei voli di ritorno verso l’aeroporto di Tabarka, città a nord della Tunisia: al momento sarebbero tre a settimana, 40 persone alla volta.