A un mese dalla sua prima apparizione italiana (Niente di me, presentato da Jacopo Gassman alla Biennale veneziana) torna la scrittura del norvegese Arne Lygre all’Argentina con la regia di Giacomo Bisordi per Uomo senza meta. Anche qui una scrittura all’apparenza quotidiana, asciutta ma mai univoca, quasi in souplesse, raccontando senza gridare possibili drammi esistenziali o scelte capitali. Come quella del facoltoso utopista che un giorno decide di spendere tutto il proprio capitale per trasformare una landa desolata e cadente in una sorta di città ideale, a misura del benessere di coloro che la abiteranno. Salvo rendersi poi conto, 30 anni dopo, ormai distrutto dalla malattia, come quell’operazione abbia dato risultati rapidamente deterioratisi. Tutto affrontato e vissuto attraverso la sua compagine familiare: un fratello puntiglioso, moglie, figli tutti alla prova del redde rationem finale. Una commedia «astratta», che pure traccia drammi oggi ben comprensibili, che Lygre raffredda e impietrisce nelle parole, che mai danno una indicazione di salvezza possibile. E qualche nordica freddezza comunica allo spettatore anche lo spettacolo di Bisordi. Che ha uno straordinario protagonista in Francesco Colella, scatenato e ironico nella propria «illusione», mentre quasi prigionieri del ruolo restano gli altri (Aldo Ottobrino, Monica Piseddu, Silvia D’Amico, e Giuseppe Sartori, qui quasi servo muto, dopo esser stato protagonista del Lygre veneziano). E domenica scorsa proprio a Colella è toccato, con commozione e sobrietà, far calare sul teatro il sipario del lockdown.