Articolo21, Eurovisioni, Federazione della stampa, Usigrai (sindacato dei giornalisti della Rai), Adrai (dirigenti), Slc-Cgil, Fondazione Di Vittorio hanno promosso a Roma lo scorso 12 luglio presso il Cnel un importante convegno sul servizio pubblico.
Il titolo già racconta il tenore di analisi e proposte: «Rai: dall’organizzazione per media all’organizzazione per generi».
In verità, la relazione di Renato Parascandolo riprendeva l’impostazione assai predittiva da lui medesimo ipotizzata tanti anni fa (pubblicata, tra l’altro, dalla rivista Gulliver) e messa in un cassetto da un sistema politico e aziendale volto alla lottizzazione.
E oggi è peggio: dai partiti alle lobby, ai salotti, a qualche consorteria. È urgente davvero una svolta morale ed intellettuale, che rimetta all’ordine del giorno il senso profondo, l’ontologia di un reale servizio pubblico. In grado di permeare l’età cross-mediale, l’ambiente dell’infosfera.

L’ipotesi espressa dal convegno, che ha visto l’interlocuzione del direttore generale Alberto Matassino, è stata quella del passaggio dall’organizzazione per reti e canali ad una riarticolazione per generi.
Di fronte all’aumento esponenziale delle piattaforme diffusive – anche l’auditel si sta aggiornando, non a caso – la vecchia concezione autoreferenziale è moribonda. La proposta entra in dialettica con il piano industriale 2019-2021 presentato dall’amministratore delegato Fabrizio Salini, centrato a sua volta proprio sul rovesciamento dell’ordine degli addendi tra mezzo e messaggio. Quest’ultimo plasma e crea il primo, non viceversa. L’età analogica è un ricordo.

Molti gli interventi (ivi compresi la consigliera Borioni, con i colleghi Laganà e Rossi e i rappresentanti sindacali, della Fondazione Di Vittorio e di Eurovisioni) tesi a mettere in luce il valore e pure i limiti di un simile cambio di paradigma. Peraltro, in giro per l’Europa, il dibattito è simile. Ne ha parlato con cura Giacomo Mazzone.
Ma come si può parlare di transizione dalla divisione per media ad un affascinante nuovo inizio se si continuano a sfornare o immaginare nuovi vicedirettori in quei canali che si vorrebbe ridimensionare? Ennesima riedizione del gattopardismo eterno e tenace? Quanti piani sono finiti in soffitta? E già, perché se non si apre un vero conflitto contro le antiche dinamiche di potere, scuotendo l’eterna rivoluzione passiva di viale Mazzini, non si determina alcuna novità.

Il vicepresidente della commissione parlamentare di vigilanza Primo Di Nicola – esponente di punta del Mov5Stelle – ha parlato di riforma della Rai, attraverso un articolato in cui il consiglio di amministrazione viene scelto per sorteggio.
Giusta la volontà di rompere la connessione con la politica invadente, ma diversi testi sono presenti nel dibattito, frutto di lunghe elaborazioni con le associazioni attive nel settore.
Perché non aprire, allora, un tavolo di lavoro che costruisca le linee fondamentali di una riforma dell’intero universo digitale? La Rai, ormai, è solo una sequenza del mosaico.

Si cominci con due doverose abrogazioni: la legge del 2015 sulla Rai che diede il comando al governo rinnegando quarant’anni di giurisprudenza costituzionale, nonché il pasticcio normativo dell’ex ministro Gasparri del 2004.
E si torni nelle scuole, come ricorda Roberto Natale, dopo gli inquietanti dati dell’Invalsi sui bassi livelli di istruzione.
A proposito del Mov5Stelle. Di Maio è tornato sulla proposta che fu di Renzi di abbattere il canone della Rai, il più basso d’Europa. Che c’entra ora? Errare è umano, perseverare è diabolico. E noioso.