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Dalle «Politiche della collaborazione» di Richard Sennett al «Grande gioco» di William Dalrymple, da «Quando la psicoanalisi scoprì le donne» di Corrado Augias a «Roma. Un impero alle radici d’Europa» del fotografo Luca Campigotto: sono questi alcuni dei temi e degli autori presenti a Lignano Sabbiadoro dal 18 al 20 giugno all’interno di una iniziativa che si presenta come una sorta di anteprima di Pordenonelegge.

È per lo meno curioso che il premio per «l’avventura del pensiero» sia stato conferito nella passata edizione a Zygmunt Bauman, che in più di una occasione aveva citato il talento analitico di Richard Sennett, l’allievo di Hannah Arendt che insegna alla New York University e alla London School of Economics, considerandolo uno dei più illustri e fecondo sociologo vivente. Nel 2000, Sennett ha scritto il volume fondamentale The Corrosion of Character: The Personal Consequences of Work in the New Capitalism, la cui traduzione italiana L’uomo flessibile (Feltrinelli) era metonimica e in ogni caso il libro antivedeva una deriva che avrebbe di lì a poco trascinato l’Occidente in un fossato morale oltreché materiale.
Nel 2008 era uscito un altro suo libro molto importante, L’uomo artigiano, in cui l’ex violoncellista raccontava il piacere e il valore di un lavoro ben eseguito con le proprie mani. Anche in questo caso, se la riflessione si sofferma sul fatto che non sappiamo assolutamente nulla degli artefatti tecnologici in uso: artefatti prodotti apposta per deperire subito dopo la data in cui ha fine la garanzia e che rimangono qualcosa di misterioso e insondabile, qualcosa che regala un enorme potere come le tempeste diffamatorie sui social network o le esecuzioni mortali a distanza da parte dei militari. E sono poche le analisi che hanno affrontato la distanza tra le tecnologie e gli umani: una distanza che produce la perdita di contatto reale degli umani con le cose e tra gli umani e il mondo. Fenomeni che alimenta una crescita di un solipsismo individuale. Elementi invece tutti presenti nei saggi di Sennett, del quale nel 2012 è stato pubblicato Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, testo che affronta invece le modalità concrete e realistiche di ricominciare a cooperare e che contrappone alle fortezze individuali erette dagli individui nordamericani ma anche parigini o milanesi la capacità (e l’obbligo, pena la perdita dell’onore) di fare rete dei cinesi nella guanxi.
Se Sennett parla delle vie d’uscita possibili per gli esseri umani nella società, il brillante ultimo libro di Dalrymple, Il ritorno di un re, che fa un tuffo nel passato, nell’Afghanistan invaso dai britannici nel 1839 per contrastare un’invasione dell’India attraverso l’Afghanistan da parte del temuto Orso sovietico, ci descrive invece la guerra. Una guerra che coloro che consideriamo «selvaggi» sanno ancora fare, come ha scritto Antonio Scurati, decapitando allora come oggi, con la stessa ferocia.

Se gli inglesi di allora, oggi sono ancora capaci di fare «massacri e cultura» – «le due cose insieme, non una senza l’altra perché una soltanto, da sola, non sarebbe bastata a realizzare quell’impresa grandiosa e violenta di conquista e conoscenza che fu il colonialismo europeo» -, oggi gli europei non sono più in grado di fare la guerra, e non ne hanno alcun desiderio: sarebbe meglio allora che ponderassero molto più accuratamente le decisioni relative alle sedicenti «missioni di pace».