La ministra Stefania Giannini (devota alla sussidiarietà ciellina) ha subito citato il Veneto, che senza scuole paritarie metterebbe «in enormi difficoltà economiche e strutturali» stato e regione.
Peccato che, in base ai dati 2014 del suo ministero, la geopolitica della formazione scolastica cattolica sia ben altra: Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia sono di gran lunga più rilevanti (e non solo in termini squisitamente statistici).

E lo testimonia una fonte «insindacabile»: il rapporto La scuola cattolica in cifre. Anno 2013-2014 del Centro studi per la scuola cattolica, organismo della Cei che ha elaborato – appunto – i numeri del Miur («non comprendono le province autonome di Aosta, Trento e Bolzano, ma la differenza dai dati reali è da considerarsi minima» si legge in premessa).

Le scuole primarie cattoliche sono 1.106 con 7.194 classi e 149.774 alunni e contano 1.106 dirigenti, 12.713 docenti (di cui 8.879 a tempo intederminato e 1.299 di sostegno) con oltre 6 mila dipendenti fra amministrazione, cucina e pulizie. In questo segmento che interessa la fascia 6-10 anni, soltanto al nord il Veneto con 78 scuole d’ispirazione religiosa non regge il confronto con la Lombardia del celeste Formigoni che ne conta 203, perfino più del Lazio (200).

Scuole secondarie di primo grado paritarie cattoliche: sono 570 con 58.805 alunni che al 99,9% si avvalgono dell’insegnamento della religione, 564 dirigenti, 8.098 docenti e 3 mila altri dipendenti.
Infine, queste le cifre delle scuole secondarie di secondo grado: 656 con 55.506 alunni, 463 dirigenti, 9.331 docenti (compresi i 618 a titolo gratuito) e ancora circa 3 mila inquadrati come non docenti.
E la concentrazione regionale, di fatto, non cambia man mano che si cresce di grado.

Al di là della sentenza che riguarda la tassazione commerciale degli immobili che la chiesa destina ad asili, materne e scuole paritarie – la vera sostanza dei rapporti istituzionali ruota intorno alla legge numero 62 del 10 marzo 2000 firmata dal ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer all’epoca del governo D’Alema-bis.

È già il diritto allo studio in formato «libero mercato» che ora Renzi ha perfezionato nella sua riforma, che è in perfetta sintonia con gli interessi del buono scuola. Tant’è che proprio negli ultimi 15 anni ha prosperato la «libertà di scelta delle famiglie» nel solco della Federazione opere educative della Compagnia delle opere. Di ben altro tenore, l’elite Faes (Famiglia e scuola) collegata alla prelatura dell’Opus Dei che non sente il bisogno di associarsi alla Fidae…

È, per altro, una questione di soldi pubblici con cui stato, regioni e enti locali finanziano le scuole cattoliche. Nella primavera 2013 proprio su questo a Bologna il 59% degli 80 mila votanti nel referendum aveva dato una netta indicazione alla giunta Merola (che ha fatto finta di nulla…).

Nel 2007 il governo Prodi aveva garantito al «sistema paritario» per lo più cattolico 566 milioni di euro in contributi spalmati dalle materne ai licei. Cifra che si è andata, di fatto, dimezzando in una sorta di Spending Review compensata però dal bonus con cui il governo Monti aveva dispensato dall’Ici la chiesa cattolica.

È poi così costante la parità scolastica? Nel 1992 gli alunni che utilizzavano l’offerta formativa cattolica erano 876.398 cioè il 9,1% del totale. Nel 2008, erano scesi a 603.683 pari solo al 6,7%. Una tendenza che va di pari passo con la consistenza dell’alternativa religiosa alla scuola pubblica. Nell’anno scolastico 1997-98 erano state censite 11.324 scuole cattoliche. In base al rapporto Cssc con i dati Miur della ministra Giannini, in quello appena archiviato ne funzionavano complessivamente solo 8.753.

«Scuola: statale o paritaria purchè sia migliore» ammicca già l’edizione 2015 del Meeting di Rimini. Il 25 agosto, nel salone Intesa Sanpaolo B3 della Fiera ciellina, è previsto proprio l’intervento di Luigi Berlinguer, insieme a Claudia Giudici di Reggio Emilia,Susanna Mantovani dell’Università di Milano Bicocca.