Ne ha fatto la madre di tutte le sue battaglie, al punto da salire da sindaco a palazzo Zanca, sede del comune di Messina, in maglietta arancione con simbolo della pace e scritta «No al ponte». Per questo, Renato Accorinti, il professore pacifista che oggi guida il comune di Messina, alla notizia della possibile ripresa delle operazioni ponte sullo Stretto è inviperito. «Vorrei tanto capire la finalità di questo milione e trecentomila euro», tuona dalla sua stanza a palazzo Zanca, in cui tra busti di marmo e bronzo, gagliardetti e stucchi veneziani color salmone che i suoi predecessori hanno sovrapposto negli anni, ha piazzato una bandiera della pace, quella del Tibet e un ritratto di Ghandi. «Mi indigna che non si trovino i soldi per la metromare (gli aliscafi che collegano Messina e Reggio, ndr) e si trovino quelli per il ponte. Di questo chiederò conto e ragione al governo, affinché si faccia interprete di un accordo con Eurolink imponendo i lavori per le infrastrutture nel territorio e per i collegamenti sullo Stretto», ha concluso il primo cittadino.

Ad Accorinti fa eco il suo vice, Guido Signorino, che già da economista e docente universitario, molto prima di diventare vicesindaco e assessore al Bilancio di Messina, si era occupato di «smontare» il ponte. «C’è una legge che imponeva la messa in liquidazione della Stretto di Messina, che fine ha fatto? E su che basi verrebbe rifinanziato un progetto di una società che avrebbe dovuto essere messa in liquidazione, visto che a questo punto non sono più sicuro che siano state rispettate le prescrizioni di legge?», domanda Signorino. Che poi si risponde da solo: «Il rifinanziamento è una follia che non sta né in cielo né in terra», spiega, prima di prendere respiro e mitragliare i motivi per i quali ritiene sia una follia: «Il progetto non valutato dal Cipe dal punto di vista ambientale e già vecchio, costi insostenibili già dieci anni fa, e in questo decennio l’economia meglio non mi pare proprio sia andata. Non c’è nessuna possibilità che i ricavi possano far rientrare i costi dell’investimento, figurarsi produrre utili. Continuo?». Prego. «Con i soli trecento milioni di euro si sarebbero affrontati una volta per tutte i problemi dell’attraversamento dello Stretto (sostanzialmente abbandonato dal vettore pubblico, ndr) – spiega Signorino – Il miliardo restante? Lo diano alle tre città dell’area dello Stretto Messina, Reggio Calabria e Villa san Giovanni, come risarcimento di un’eterna servitù di passaggio e per il blocco di qualsiasi forma di sviluppo che per anni è dipesa dal fantasma ponte».