“Ora che avete tutti visto quelle bare, non deludeteci”, più che una richiesta è un grido di dolore. Con queste parole, pronunciate ieri a Bruxelles davanti al presidente dell’europarlamento Martin Schulz, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini si è rivolta all’Unione europea e ai suoi 27 primi ministri riuniti per due giorni con il complicatissimo compito di proporre un’altra politica per rispondere alle tragedie che si consumano nel canale di Sicilia. Centinaia di morti degli ultimi due naufragi, migliaia di persone scomparse negli anni, e anche, come ha ricordato lo stesso Schulz, il dramma di un’isola dove da gennaio ad oggi 13 mila rifugiati sono sbarcati da 140 barconi (dal 2008 al 2012 ne erano arrivate altre 86 mila). Il presidente Schulz, perlomeno, ha promesso di sollevare di fronte ai leader europei il “caso di Lampedusa” e di chiedere “risposte e sostegno” all’isola siciliana.

Difficile che al termine del primo giorno di vertice Giusi Nicolini sia rimasta soddisfatta, nonostante “l’approccio solidale” che dovrebbe caratterizzare la risoluzione finale, e nonostante la felicità del Commissario europeo agli Affari interni Cecilia Malmstrom che intanto ha cominciato con l’annuncio di “una finestra on-line” sull’immigrazione tradotta anche in arabo e dedicata ai “potenziali migranti residenti nei paesi terzi” che volessero informazioni sulle procedure per emigrare “legalmente”. Partire informati collegandosi alla rete e bene, e lodevole è anche l’intenzione più volte ribadita dalla Ue di fare di tutto “con equa ripartizione di responsabilità” per evitare altre morti, ma forse non è proprio questo il cambiamento di approccio che il sindaco di Lampedusa si aspettava da Bruxelles.

“Mi aspetto che cambi la politica per la richiesta di asilo, non si può chiedere asilo a nuoto, è vergognoso di fronte al mondo”, aveva detto prima che iniziasse il vertice. “Una politica che non permette di chiedere asilo prima di salire su quei barconi – aveva aggiunto – è ingiusta, anche per noi. Ci condannano a un destino di frontiera”. Per Giusi Nicolini, inoltre, sono del tutto inadeguate le misure di tipo poliziesco che di fatto rappresentano il pilastro e la filosofia della politica europea di contrasto all’immigrazione: “Le risposte non sono Frontex o Mare Nostrum, queste operazioni limitano i naufragi ma non li evitano”.

Non è un’opinione, è un fatto: proprio ieri 127 persone sono state salvate dalla guardia costiera a pochi chilometri da Lampedusa, quindi dopo aver eluso la sorveglianza di cinque navi impegnate e sorvegliare quel tratto di mare. Infine, per il sindaco più esposto d’Europa alle ondate migratorie, e dunque competente in materia più di qualsiasi commissione europea, il governo italiano dovrebbe avere il coraggio di cambiare le legge Bossi-Fini, “una riposta ignominiosa ad una domanda umanitaria”. Ma sappiamo come la pensa il ministro Angelino Alfano, e dunque lasciano il tempo che trovano le dichiarazioni melliflue di Enrico Letta e i buoni propositi espressi anche ieri dal ministro per l’integrazione Cécile Kyenge.

Ieri a Bruxelles, davanti alla sede del Consiglio europeo, c’era uno striscione con la scritta “S.o.s. Europa”. Lo hanno srotolato per protesta gli attivisti di Amnesty International nell’ambito della campagna “When you don’t exist” (quando non esisti). Amnesty chiede all’Ue di aumentare i fondi per le operazioni di ricerca e salvataggio, la creazione di canali sicuri d’immigrazione verso l’Europa e lo stop alla cooperazione con i paesi africani che violano i diritti umani. Troppo per questa Europa blindata, soprattutto a pochi mesi dalle elezioni europee.